A Ken Loach il Gran Premio Torino della 30^ edizione del TFF

giugno 29, 2012 § Lascia un commento

Ken Loach è il regista a cui è andrà il Gran Premio Torino della 30^ edizione del Torino Film Festival. Ken Loach sarà presente a Torino insieme allo sceneggiatore Paul Laverty per ricevere il premio e per presentare l’anteprima italiana di The Angels’ Share, una commedia su un gruppo di giovani disoccupati di Glasgow che trovano la salvezza e una vita migliore grazie al più puro malto scozzese. Distribuito in Italia da Bim, The Angels’ Share ha vinto il Premio della giuria all’ultimo festival di Cannes.

I Gran Premio Torino è stato istituito a partire dall’edizione del 2009 del TFF. Il riconoscimento viene assegnato ogni anno ai cineasti che, dall’emergere delle nouvelles vagues in poi, hanno contribuito al rinnovamento del linguaggio cinematografico, alla creazione di nuovi modelli estetici, alla diffusione di nuove tendenze contemporanee.

Nel 2011, il premio è stato assegnato a Aki Kaurismäki, per il rigore e la pulizia del suo linguaggio, la sensibilità della sua rappresentazione del mondo contemporaneo, la comprensione e l’ironia con cui si avvicina a un’umanità normale, sempre più sola, confusa e in cerca di rapporti veri.

A presiedere la giuria del Concorso Internazionale Lungometraggi del 30° Torino Film Festival sarà invece Paolo Sorrentino, regista e scrittore, tra i più stimolanti autori italiani contemporanei.

Appello del Collettivo Universitario Liberi Orientamenti: Eterosessuali, non lasciateci soli al Gay Pride

giugno 14, 2012 § 25 commenti

Siamo il C.U.L.O., collettivo autogestito, autoformato e autoerotico universitario che da anni cerca di fare politica dentro e fuori l’Università per cambiare la percezione sociopolitica del nostro corpo, dei nostri diritti alla libera scelta e dell’autoaffermazione dell’essenza di noi stessi, per noi stessi, su noi stessi e sugli altri corpi quando siamo fortunat* e riusciamo a copulare.

Dopo un grande dibattito orizzontale, verticale, assembleare, in apnea e alla missionaria, siamo giunti alla decisione di partecipare al Gay Pride di Torino 2012, nonostante in movimenti e le realtà associative che si occupano solitamente di questa battaglia.
Vi preghiamo, eterosessuali: noi crediamo davvero che sia una lotta di civiltà e liberazione collettiva quella che passa per la sessualità e l’espressione di se stessi, però, diciamocelo, tendenzialmente i gay, le lesbiche e i transessuali sono gente insopportabile. È difficile farci politica assieme e alle associazioni dei genitori e amici degli omosessuali diamo tutta la nostra solidarietà e comprensione. Davvero, eroici. Siete ancora amici di quella gente?

Eterossessuali aiutateci: come ogni anno, in barba alla bellissima tradizione di rabbia e fame di giustizia sociale da cui nasce il Pride, il Pride si riempie di realtà commerciali che fanno a gara a chi ce l’ha più lungo, l’impianto, e chi ha il cubista con la mutanda più riempita sul carro. Queste realtà non si fanno affatto problemi a farsi la guerra per chi riesce a coprire la sigla altrui. Contrariamente allo scopo, almeno dichiarato, degli organizzatori della manifestazione, non c’è nessuna volontà di sensibilizzare e informare gente nuova sulle tematiche che si portano in piazza, ma solo l’interesse ad accalappiarsi più clienti possibili tra quanti fanno già parte di una popolazione gay o gay friendly. Per carità, ci va tutto bene. I cubisti con il megapacco li guardiamo con interesse anche noi, ma almeno si smettesse di far finta che questo abbia a che vedere con le nostre rivendicazioni. Si potessero risparmiare quegli interventi tra Lady Gaga e Madonna in cui si allude con qualche frase a non meglio identificati diritti; ovviamente dicendo cose quanto più banali e generali possibili, così siamo d’accordo, ci siamo detti che scendiamo in piazza per la nostra autoaffermazione e poi si ritorna a ballare i Jeopard.

Amici eterosessuali, voi siete lontani da tutto ciò e vi sembrerà fantascientifico, ma sapeste quali intrighi e quali equilibrismi per organizzare party ufficiali: cospirazioni da romanzo di George RR Martin perché tutti possano avere una fetta di dj-set.
E le realtà politiche sono anche decisamente peggio.
Non importa quanto realmente si spendano durante l’anno sulle battaglie del mondo lesbico, gay e transgender: tutti i circoli Arci diventano improvvisamente gay-friendly il giorno del Pride. Da Gianca (dove un po’ tutt* noi collettivant* andiamo a limonare, per cui ok, va bene) alla bocciofila corsara sono tutti improvvisamente paladini dei diritti civili. Poi il rapporto Arcigay e Partiti Delicati è qualcosa che ci fa letteralmente infuriare e negli anni ci ha stancato: poltrone che si rincorrono e si scambiano, rappresentanti politici invitati nell’autocompiacimento e nella scarsa voglia di criticare ed arrabbiarsi con chi è sordo alle nostre richieste e non ci ha mai rappresentato.
Per non parlare della discoteca, autotrasformatasi in associazione lgbt per poter esserci due volte: un’operazione così richiede più fegato che cuore.
Ovviamente la volontà è sempre quella di non scontentare nessuno: per cui sono tutti invitati a partecipare e a costruire le rivendicazioni. Piuttosto chiediamo meno, parliamo in modo generale e inclusivo, ma sia mai che non permettiamo alle fasciste velate di scendere in piazza. In fondo il Pride è colore, e una bandiera in più non stona mai, attenzione solo a non abbinare blu e nero, cafone vero.
Insomma, il Pride è una cosa necessaria oggi più che mai per le rivendicazioni di una parte di popolazione discriminata e priva di tutele legali, importantissima, e che per questo non è possibile lasciarla gestire alle realtà LGBTQI. Vi preghiamo eterosessuali, non lasciateci soli. E’ evidente che così non otteniamo risultati e continueremo a non ottenerli. Unitevi nel nostro simbolo e nella nostra bandiera, che unisce davvero tutti perché il culo piace proprio a tutti.

Libertà è emancipazione

C.U.L.O. Collettivo Universitario Liberi Orientamenti.

Scrivere con i piedi: fenomenologia della letteratura calcistica

giugno 4, 2012 § Lascia un commento

Perché i capolavori di Baggio, Ibrahimovic e Del Piero sono le novità letterarie più interessanti degli ultimi vent’anni


Il grande laboratorio culturale dello stivale italico si è sempre imposto, nel corso dei secoli, nel mondo “occidentale”, ancora prima dell’esistenza stessa di un mondo occidentale. Sembra una tesi di difficile sostenibilità, e andrebbe sicuramente meglio argomentata, ma tale operazione prevederebbe una ricerca ben più approfondita di questo breve articolo. Vi basti, quindi, sapere che la mia mamma dice che sono bello e commenta con simpatici buffetti questa come altre teorie.

In Italia la letteratura sta imponendo un nuovo genere letterario, di avanzata ricercata decostruttiva e che pone l’artista, badate bene artista, non scrittore, in una nuova dimensione di contaminazione tra diverse forme d’arte. Anzi, in una dimensione in cui non esistono più né forme né arte. Feroce amante e crudele distruttore della forma letteraria. Dimenticatevi poeti, drammaturghi, novellisti, saggisti, giornalisti e scrittori. La nuova forma della parola scritta è affidata a chi ha raggiunto le più alte vette artistiche né con le mani, né con la voce, ma con i piedi.
Il nuovo risorgimento della letteratura italiana è affidata ai calciatori, delle cui invenzioni letterarie sentivamo tutti bisogno.

Prima di passarne velocemente in rassegna i principali capolavori, voglio spendere qualche parola su questo nuovo genere letterario.Contrariamente a quanto succede per altre categorie professionali che si dedicano in un secondo momento alla scrittura, i calciatori rimangono calciatori anche, e soprattutto, mentre scrivono. Non come dei banali presentatori televisivi o degli attori qualsiasi. Loro non imitano gli scrittori, non producono romanzi né inventano eroi del noir. Rimangono calciatori che scrivono. Spesso fantasisti che inventano un nuovo spazio di fantasia, strappandolo al mondo della comunicazione mediatica e degli sponsor.Non cadono nemmeno nella facile trappola del saggio dell’esperto del settore: sì, si parla di calcio nelle loro produzioni, ma mai manuali di calcio o saggi. Sono di solito autobiografie, perché il calciatore-creatore sa che quello che i suoi lettori vogliono: la narrazione dall’eroe delle proprie gesta, come se la società dello spettacolo chiedesse a Odisseo di reinventare il proprio mito e di sostituire la tavola di Alcinoo con il best-seller da scaffale. Poche autobiografie nella storia della letteratura risultano altrettanto sincere, con una tale sovrapposizione tra autore che si racconta, personaggio e percezione del personaggio da parte dei lettori. Allora troveremo un Cassano, autore non di uno, ma di due libri, impegnato a difendere la sua immagine e il suo bisogno di narrare se stesso come un Pierino pestifero e geniale, un Baggio, vero padre di questo genere letterario, a distribuire sorrisi ed ascetismo fin dal titolo. Ma addentriamoci meglio, seppur brevemente, in questo genere letterario.

Roberto Baggio

L’Omero della letteratura calcistica. Autore da aforisma prima ancora del suo debutto letterario, genio indiscusso e indiscutibile del calcio e padre di un genere letterario. L’umanità non può esaurire la sua gratitudine verso questo personaggio, per certi versi controverso, con il solo pallone d’oro. La sua celebre affermazione: “I rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli” ha da tempo superato, almeno nel mondo italofono, le migliori citazioni di Wilde o Schopenauer. Ricordiamo solo come sia stata ripresa da Claudio Riccio nel suo struggente addio alla politica, per dimostrare come le parole di Baggio siano entrate nell’immaginario collettivo. E se i più crudeli e ingrati hanno ricordato al vecchio portavoce della Rete della Conoscenza come i tifosi di mezza Italia apostrofassero il fantasista con il celebre coro “Baggio puttana hai fatto tutto per la grana”, non possiamo non riprendere questo episodio come simbolo dell’assunzione artistico-calcistica del grandissimo calciatore nell’Olimpo dei grandi della Storia.
Perle di saggezza, riflessioni da buddista occidentale, amore per il calcio, ma anche per le polemiche con gli allenatori della propria carriera. Ironia, sorrisi e lacrime distribuiti con saggezza e una affabulazione sorniona: “Una porta nel cielo” contiene già tutti gli ingredienti che verranno ripesi da quanti ripercorreranno sul campo e nella scrittura i passi del codino più famoso della storia dello sport.

Francesco Totti

Saggiamente il Francesco nazionale sceglie di non raccontare la propria biografia, ma di lasciare che l’intento del libro faccia emergere il proprio Io umano, artistico e calcistico. Come i veri creatori del mercato d’arte Totti legge e sfrutta il momento storico in cui la sua opera nasce e si dispiega: mentre il mondo mediatico crudelmente lo bolla come illetterato coatto, egli, er Pupone, si fa rapsodo di se stesso e raccoglie i frutti di questo crudele ritratto di lui dal mondo dello spettacolo creato: raccoglie tutte le barzellette su di sé e ne fa un libro.
Geniale il titolo del libro. Davvero, ho sempre apprezzato i titoli che raccontano chiaramente, senza inganni, a cosa il lettore sta per andare incontro: “Tutte le barzellette su Totti (raccolte da me)”. Fa uscire con forza l’autore-rapsodo, e l’immagine che vuole trasmettere di sé nell’opera, anche forse nell’intento benefico dell’opera. L’Unicef, ovviamente. Istituzionale ed universale, e poi a tutti piacciono i bambini.

Antonio Cassano

Autore di due opere, nulla fa emergere la struggente bellezza dell’invenzione del mito del meridione, del Sud del Mondo, come la penna dell’irriverente barese. “Dico tutto” sottotitolo: e se fa caldo gioco all’ombra, scritto con la collaborazione (supervisione? correzione grammaticale?) di Pierluigi Pardo, è un ritratto irriverente, ma sinceramente genuino e buono di questo ragazzo, riscattatosi da una condizione di disagio e povertà con il pallone (e la scrittura, ovviamente). Lo stile nella sua semplicità e nei suoi rimandi al linguaggio più colloquiale ammicca ai grandi narratori americani e ai primi libri di Culicchia e Brizzi. Nella sua seconda opera, “Le mattine non servono a niente, e altre 364 cassanate in forma di aforisma per vivere un anno da fantasista”, scritto sempre con la collaborazione di Pardo, l’autore rinnova l’immagine di un sé fantasioso prima ancora che fantasista cimentandosi, però, in un nuovo genere letterario, quello appunto dell’aforisma. Inarrivabile e rinnovatore di se stesso… quanti “scrittori colti” del panorama italiano dovrebbero guardare alla bibliografia di Cassano con umiltà!

Zlatan Ibrahimovic

Il più grande tra tutti i protagonisti di questo genere, e probabilmente tra gli autori viventi. “Io, Ibra” è un libro da mettere nella vostra biblioteca a fianco ai grandi scrittori del Novecento. Uomo della strada, cresciuto tra il freddo e i campi di cemento di Rosemberg, il ghetto dell’isola di Malomoe con tanti bambini dell’Est come lui. Nelle pagine il giocatore svedese, assieme a Lagercrantz David, fa rivivere una vita non solo di disagio e povertà, ma anche di cattiveria. Con un realismo che pochi altri hanno saputo raggiungere e che lo collocano di diritto nel Paradiso dei Narratori della Sfiga, tra Zola e Verga.Una scrittura fatta di rivalsa, muscolare, che non risparmia critiche né fa sconti a compagni e allenatori. Un uomo che ringrazia sempre solo sé stesso, le sue gambe e il suo cuore. Che per servire sé stesso non ha mai esitato a cambiare continuamente squadra, nazione, lingua e vita. E non solo seguendo ingaggi più alti, anzi, ma sempre alla ricerca di nuove sfide e nuove opportunità. Tante bandiere, nessuna bandiera. Anarchia e sudore.

 

Alessandro Del Piero

Giochiamo ancora”, scritto con Crosetti Maurizio (anche se, contrariamente a quanto fanno gli altri scrittori-calciatori, non cita il coautore in copertina), ci presenta un Del Piero inaspettatamente flaubertiano, che ammicca al romanzo borghese. Uomo della provincia bene dell’operoso Nordest. Famiglia borghese, scuole calcio accompagnato dal papà, quei bambini buoni e simpatici che si fanno ben volere da tutti. Scrittura pulita, elegante addirittura, quasi leziosa. La ricercatezza della struttura nella divisione dei capitoli: il ricorrere al numero dieci, a sottolineare l’identificazione con la squadra, l’essere bandiera e simbolo della stessa, non abbandonarla mai, nemmeno nei momenti difficili. Anche quando vuol dire rinunciare alle grandi sfide, al Calcio con la C maiuscola per dedicarsi al alla B. Quell’elargire consigli da padre di famiglia e buonismi. Un po’ Coelho vecchia maniera, un po’ debutto letterario di Baggio. 
Minchia se ti odio Del Piero.

In realtà l’elenco di calciatori-autori è ancora lungo: Buffon, Inzaghi, Stankovic, Eto’o e molti altri, ma sono tutti riconducibili in qualche modo agli autori qui analizzati: autobiografia, autoironia e autopromozione del mito di sé. Perché nell’era dello spettacolo l’eroe non ha solo il dovere di essere eroe, ma deve farsi promotore del suo più alto valore morale: la creazione di sé stessi come oggetto di consumo. Forse solo la scrittura sudata e feroce di Ibra e la sua sfacciataggine sanno far emergere le contraddizioni di questo modello letterario: questi eroi-calciatori-narratori del mondo dello spettacolo sportivo che li ha creati.

Pivo Andrić

Nota dell’Autore:
L’autore vuole condividere con i lettori dell’Ode la gioia per il ritorno del Torino in serie A.

 

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