L’individualismo ai tempi dell’austerity

febbraio 13, 2012 § 2 commenti

Lo spread sale, lo spread scende, lo spread decide il buongoverno. I giornali sono pieni di paroloni e articoli che hanno tutta l’intenzione di non farsi leggere. In tv gli spot invitano tutti a comprare, giocare, investire e richiedere mutui. Nei dibattiti televisivi gli esperti di questo e quello passano il loro tempo a ripetersi che la politica ha fallito e lo confermano gli stessi politici nelle interviste. Qualsiasi gesto compiuto da una controparte, un partito, un movimento, un gruppo di attivisti non viene più discusso nel merito, qualsiasi giudizio viene espresso per screditare l’avversario e accreditare la propria fazione, non si può più parlare di nulla. Esistono solo giusto e sbagliato, ognuno si erige a giudice supremo: questo è il livello di dibattito che la classe politica attuale, più che la politica, ha portato nel nostro paese.
Viviamo una situazione drammatica, nella quale ogni aspetto della nostra vita, dallo stipendio alla pensione, viene messo continuamente in discussione dalle scelte politiche imposte da una precisa ideologia economica, eppure nel quotidiano sembra non accadere nulla di diverso da ciò che era prima, ma gli stravolgimenti sociali, si sa, avvengono per piccoli passi.
Ognuno di noi gode, per lo più inconsapevolmente, di agevolazioni, servizi, diritti, senza sapere come sono stati conquistati.
Nel momento in cui il costo di un determinato servizio aumenta e non ne riceviamo più i vantaggi, ci sentiamo isolati, traditi e impotenti. Come se avessimo perso un privilegio e non un diritto.
Guardandoci intorno non troviamo alcun luogo in cui poter esprimere il nostro disagio, nessuno a cui rivolgerci e con cui costruire qualcosa per poterci riappropriare di quello che ci viene tolto, nessun meccanismo che dia la possibilità alla collettività per riscattarsi e muoversi, dal basso.
Nella società attuale, gli spazi di aggregazione in cui poter condividere queste battaglie sono pressoché nulli.
Una valida eccezione è l’Università, dove la comunità studentesca ha la possibilità di confrontarsi, scambiare opinioni, criticità, pensieri. Lì si possono costruire dei veri e propri gruppi solidali in grado di portare avanti battaglie comuni, che vanno da come ripristinare gli appelli al funzionamento dell’intera Università.
La dinamica di ciò che accade in questi luoghi ha poche analogie con quello che accade in altri ambienti, forse ancora un poco nella fabbriche o nei teatri, ma decisamente non negli ambienti lavorativi contemporanei, come i call center, le catene commerciali di fast food, abbigliamento…
Ciò che ci accomuna al resto del mondo lavorativo è la frequente tendenza a non condividere i problemi, o almeno a non cercare soluzioni a questi problemi con i nostri colleghi o compagni di corso. E spesso non ci rendiamo conto che quasi tutti i nostri problemi sono generati da una stessa matrice, la crisi.
Sto vivendo una crisi, c’è sempre una crisi nel momento in cui qualcosa non va.” (cit. Bluvertigo)
Lungi da me tentare spiegare qui cos’è la crisi e come è stata generata, dirò soltanto che le scelte fatte in tempo di crisi non sono casuali: tagliare gli stipendi, abbassare drasticamente le risorse delle Regioni, quindi imporre un aumento dei costi dei servizi pubblici, portare la gestione dei beni comuni nelle mani di privati, derogare all’articolo 18, istituendo i licenziamenti liberi, sono tutte scelte politiche; se poi queste scelte sono imposte da un governo che si definisce “tecnico” per coprirsi le spalle, in nome della coesione nazionale, e per sentirsi legittimato a compiere una vera e propria macelleria sociale, peggio ancora.
Teoricamente lo Stato dovrebbe farsi garante della salute e del benessere dei propri cittadini, per cui in una situazione di crisi come questa, dovrebbe provvedere a sanare le richieste di aiuto, con una maggiore offerta di servizi e agevolazioni.
Ciò che sta accadendo è l’esatto contrario.
Quest’anno la situazione drammatica delle famiglie italiane ha fatto sì che le richieste di borse di studio Edisu aumentassero, come di contro-risposta la Regione ha stanziato molti meno fondi dell’anno scorso. È ormai palese l’accordo tra Regione e fondazioni bancarie per far fallire il sistema di erogazione delle borse di studio e sostituirlo, già dal prossimo anno, con i prestiti d’onore. Come risultato di tali scelte quest’anno il 70% degli idonei non riceverà alcun aiuto economico per poter studiare e, con ogni probabilità, dovrà tornarsene a casa.
Tutto ciò, probabilmente, è da ricondurre alla propensione dello Stato italiano per un welfare familistico, piuttosto che per la tutela del singolo cittadino: così chi ha una famiglia alle spalle con un reddito dignitoso sarà molto più agevolato degli altri nell’entrare in Università, così come nel permettersi una casa in affitto e poi a laurearsi.
Ciò che ci rende simili è la nostra condizione sociale, quella di cittadini, per cui ad una determinata azione politica dello Stato corrisponde una conseguenza per tutti.
La classe politica degli ultimi anni, nei suoi disastri e nelle sue miserie, ha fatto sì che si sviluppasse in Italia una forte ondata di “antipolitica”, volta ad allontanare le persone dal porsi le giuste domande, a svilire il senso del dibattito politico trasformandolo in mera cagnara tra tifoserie, a svuotare gli organismi decisionali, come il Parlamento, di ogni significato politico e a delegittimare qualsiasi forma di politica. Per troppo tempo ci hanno fatto credere che i problemi della collettività non fossero responsabilità di questi personaggi. Troppo a lungo ci hanno fatto credere che i problemi sociali fossero questioni puramente individuali di qualche disagiato e che i problemi individuali di un singolo parlamentare fossero problemi sociali. Troppo a lungo la classe parlamentare ha dettato al popolo l’agenda politica, i temi d’interesse, sollevando dibattito solamente laddove fosse strumentale al perseguimento dell’interesse “di casta”, è ora che venga innescano un meccanismo contrario, per sviluppare dibattito laddove la collettività ne senta realmente la necessità.
In questo periodo abbiamo capito che questo modo di amministrare l’economia danneggia tutti, specie se l’economia si svincola dai paletti che la politica dovrebbe porle.
Se ci lamentiamo di questa classe politica incapace di rappresentare quelle che sono le vere richieste delle persone, poiché si organizza in modo troppo verticista per poterlo fare, dobbiamo essere noi in primis a rimetterci in gioco e a ripensare collettivamente ciò che direttamente ci riguarda.
Per fare ciò non possiamo permetterci più di giocare una partita uno contro tutti, dobbiamo necessariamente abbattere le barriere di categoria che il “dividi et impera” più che mai attuale ha posto tra di noi e ricostruire una rete di pensiero che possa in un futuro molto prossimo riappropriarsi dei diritti che ci spettano, di una condizione dignitosa della vita, del lavoro e della formazione, nessuno escluso, in nome del bene comune e non dell’utile individuale.

Camilo 2.0

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