Una giornata di ordinario confronto

Maggio 11, 2012 § 4 commenti

“L’accredito stampato insieme a me,

il manganello scagliato sopra di me”

 (Cit.)

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Giovedì 10 maggio, Lingotto.

Un preteso movimento di giovani né di destra né di sinistra. Ritornello tipico di questi tempi che non viene difficile immaginare dove voglia andare a parare. Organizza un incontro con due ministri della Repubblica (c’è da capire cosa abbiano di eccezionale questi giovani per essere riusciti a portare ben due ministri a una loro iniziativa): il Ministro dell’Istruzione Profumo e la Ministra del Lavoro e delle Politiche sociali Fornero, anche se quest’ultima alla fine diserterà l’incontro.

Il preteso movimento nei giorni precedenti all’incontro fa sapere che per accedere all’iniziativa è necessario avere un accredito, facilmente ottenibile dal loro stesso sito. Studenti medi, universitari, precari, lavoratori e cittadini eseguono la procedura ottenendo l’accredito. Alcuni di loro, appartenenti a Studenti Indipendenti e Last – Laboratorio Studentesco, ricevono la disdetta dell’accredito in quanto “violenti” e vengono informati del fatto che i loro nomi sono “in mano alla Questura di Torino”.

Alla richiesta di informazione, la segreteria di MPN risponde:

Il suo accredito è sospeso per motivi di sicurezza. Non sarà quindi consentito il suo ingresso in sala al convegno di domani. Chiediamo urgente invio di copia di documento di identità per valutare, con la Polizia di Stato, la sua eventuale riammissione in aula.

La Segreteria”

Ad attenderli all’ingresso dell’incontro più di dieci camionette delle forze dell’ordine e una cinquantina di poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa con l’immancabile supervisione della Digos.

Gli studenti, documenti alla mano, tentano di far valere il loro accredito stampato ricevendo come risposta: non siete in lista. Perché gli accrediti non erano validi? Su quale base alcuni sono meno cittadini degli altri? “Se fossi stato una persona normale ti avremmo fatto entrare” viene detto ai ragazzi chiedevano di prendere parte all’incontro.

Si tenta ancora di accedere passando dall’ingresso principale, ma si scopre che tutti gli accrediti sono stati cancellati. Un giornalista, più degli altri, Andrea Velardi, porta avanti la causa dei presidianti. Il capo della Digos, dott. Ferrara, mette le mani addosso al giornalista che tenta di proteggere gli studenti. Inizia il tiramolla: le persone “normali” vengono fatte passare dalle entrate laterali, le persone a cui l’accesso è interdetto tentano di entrare, scavalcando la barricata. La polizia con gli scudi allontana il presidio. Non si riesce a superare la barricata. Si tenta allora di passare da un’entrata sul retro dell’edificio raggiunta in corteo. Prima tentano di spintonare fuori studenti, tra cui molti liceali, con “cariche di alleggerimento”, poi la polizia chiude i ragazzi, con un’assurda manovra a tenaglia, rischiando di spingerne alcuni giù dalle scale del parcheggio. I poliziotti si piazzano anche nella passerella sopraelevata, non si sa perché, caricano per un centinaio di metri, con la Digos che non riesce a contenere i celerini in preda a una rabbia sconsiderata. Il presidio viene spinto fuori; gli opliti serrano i ranghi. Nicola Malanga, Presidente del Senato Studenti, viene ferito da una manganellata sulla testa; portato fuori, quasi sviene. Un’altra ragazza, Florentina, cade a terra, durante la corsa per sfuggire alla carica. Uno dei poliziotti inciampa su un cestino (sarà refertato come ferito dai pericolosi sovversivi?). Nel giro di dieci minuti un’ambulanza soccorre lo studente ferito e il presidio si scioglie

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I fatti di oggi pomeriggio sono la prova che il tanto sbandierato dialogo, vanto del governo “tecnico”, non è che una formula vuota per legittimare provvedimenti che si vorrebbero oggettivamente necessari, ma che hanno un chiaro indirizzo ideologico alle spalle. L’ideologia, che questa crisi ha provocato e con la quali si pretende di risolverla, è quella del mercato, delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni.

Un governo che non è sostenuto da alcuna maggioranza elettoralmente legittimata, né dal consenso popolare, non può che portare avanti la propria linea con la forza. Una forza che è schierata ad impedire il reale confronto tra opinioni differenti, perpetrando la retorica del “buon governo” che dialoga con i giovani e con le parti sociali. Un aiuto arriva dalle tante testate giornalistiche servili che, ignorando i concetti di cittadinanza e libera espressione, lasciano intendere, con frasi sibilline, che a contestare sono solo i professionisti della protesta, gente che non ha di meglio da fare che perdere le proprie giornate a rincorrere ministri.

Ci stupisce che avere vent’anni per alcuni significhi accettare acriticamente le manovre di un governo o farsi strumentalizzare per fini propagandistici.

Ci stupisce che avere vent’anni per alcuni significhi accogliere il mantra del “sacrificio necessario” e non essere più in grado di immaginare un futuro diverso e migliore, credendo che questo sia il migliore dei mondi possibili.

Ci stupisce che avere vent’anni per alcuni significhi aver introiettato il modello elitario, gerarchico, clerico-fascista, un’ottica puramente individualistica (citiamo l’articolo di Repubblica: “Il messaggio del ministro ai ragazzi è: sfruttate tutte le opportunità che ci sono”), l’indifferenza verso la giustizia sociale.

La nostra è un’altra idea di democrazia che non si fonda sull’esclusione di chi ha opinioni differenti, che non mette alla porta nessuno, che crede nella dialettica, pur aspra e dura, e non in un dialogo finto e posticcio.

Gli organizzatori sostengono che la politica, quella vera, si faccia solo nei luoghi istituzionali e non nelle piazze. Noi crediamo che la politica debba essere prerogativa di tutti i cittadini, perché una politica autistica, chiusa in sé stessa e distante dai reali bisogni della società non può portare nulla.

ESCC (esperimento scrittura collettiva consolidata)

Aggiungiamo alcuni link a foto e video della giornata:

http://www.youtube.com/watch?v=q4karfKRMTs

http://www.youtube.com/watch?v=c1eaIxAYZV0&feature=watch_response

http://www.flickr.com/photos/mirko_isaia/sets/72157629669676462/with/7172631632/

https://www.facebook.com/media/set/?set=a.383409388369415.86053.100001010709645&type=3

http://www.infoaut.org/index.php/blog/saperi/item/4697-profumo-avere-20-anni-non-vuol-dire-pagare-la-vostra-crisi


			

Standard and Poor’s declassa Roma 3

aprile 7, 2012 § Lascia un commento

Scioccante decisione dell’agenzia di rating Standard and Poor’s che, nella giornata di ieri, ha annunciato di aver declassato il giudizio sui titoli dell’università Roma 3 da A++ ad A. Per rassicurare i mercati, il C.d.A. dell’ateneo ha annunciato l’immediata espulsione di tutti i fuoricorso nonostante la ferma opposizione degli studenti del terzo polo (universitario).
Ha colto l’occasione una cordata guidata da Unicredit che ha subito annunciato l’apertura di una nuova università presso l’outlet di Valmontone; ancora non si sa se il nuovo polo si chiamerà Università C.R.T. (Ciao Roma Tre) o Roma 4 S.p.A..
Intervistato da un quotidiano locale, il rettore dell’università di Catania dichiara: “non temiamo la concorrenza, per rassicurare i nostri clienti abbasseremo ulteriormente la qualità dell’offerta formativa.”.
Malgrado questo scossone, grazie alla risalita dell’euro, tengono bene i titoli nostrani: La Sapienza resta stabile a quota 0.6 Ph.D Yale, risale a 0.47 il Politecnico di Torino, in leggera flessione la Bocconi a causa dell’improvvisa carenza di docenti dopo l’ultimo aumenti dei ministeri del governassimo.
In crescita esponenziale i titoli delle università inglesi dopo l’aumento delle rette e il dimezzamento degli iscritti: la strategia congiunta con i petrolieri del Quait per affamare la domanda e far salire i prezzi comincia a dare i suoi frutti. Non sapendo come reagire a questa contingenza i mercati mimano una rassicurata tensione con sopracciglio alzato.
Procedono intanto le manovre di Austerity al San Raffaele, ormai commissariato dopo la sfilza di suicidi tra i membri del Consiglio di Amministrazione. Per sbloccare i prestiti del F.M.I. La Troika ha imposto la vendita della famosa cupola a un interessatissimo magnate giapponese che ha già inviato gli elicotteri per il trasferimento. Misura inaccettabile per studenti e professori che si sono scontrati anche oggi con le forze dell’ordine.
Il leader della protesta, Massimo Cacciari, dichiara: “ci sentiamo vicini ai compagni di Piazza Syntagma”. Credendo di parlare di un collettivo di linguisti.

Kollettivo Automatizzato Anvur

Il gioco delle sedie e le borse EDiSU

febbraio 27, 2012 § Lascia un commento

Questa mattina, sveglio dopo undici ore di sonno, immergendo i biscotti nel caffelatte, ho avuto l’occasione di imbattermi in un borsista idoneo e beneficiario, una categoria bistrattata di questi tempi, una cerchia di privilegiati destinata ad estinguersi: vivo infatti con uno di quei pochi studenti borsisti che è riuscito a trovare una sedia quando Cota ha spento la musica.

Quando facevo la materna, le elementari forse, andava di gran moda per le feste di compleanno all’oratorio, il gioco delle sedie, stupido ed elementare ma allo stesso tempo crudele e darwiniano: ti veniva imposto infatti di correre intorno ad un cerchio di sedie con i tuoi compagni, pronto a scaraventarti a peso morto sulla prima sedia libera quando la mamma del festeggiato spegneva la musica. Al primo giro le sedie erano tante quante i bambini se non di più; dal secondo in poi la suddetta mamma o chi per essa si premurava di togliere una o due sedie determinando così l’esclusione di quei bambini che non avrebbero trovato posto al tacere della musica.

Questa mattina, mentre facevo colazione con il mio raro esemplare di borsista idoneo beneficiario, costui mi raccontava di come la sua amica Pina, straniera, non avesse ricevuto il rimborso della prima rata e di come questo rischiasse di compromettere, meglio, stroncare la sua carriera scolastica. Prima di fermare la musica infatti, il Presidente Cota si era infatti premurato di togliere il ben più dei due terzi delle sedie.

Sicuramente il Presidente della Regione Piemonte non ha avuto occasione di imparare il gioco delle sedie per come l’ho conosciuto io: la versione federalista pare molto più selettiva.

Così questa stessa mattina, mentre io bevevo il caffelatte con il beneficiario e la sua amica Pina (che il suo nome sia inventato non significa che non si possa raccontare lo stesso la sua storia), un confronto tra Atenei e Regione ha provato a stabilire le regole per il prossimo anno, a disporre le sedie prima di far partire di nuovo la musica. Il lavoro per la definizione del bando per le borse di studio universitarie del prossimo anno si è subito arenato sulla questione finanziaria: i fondi stanziati al momento basterebbero infatti a malapena a garantire la seconda rata delle borse di quest’anno, lasciando questa voce del bilancio a secco per la copertura delle borse dell’anno prossimo.

La stretta imposta sulle risorse ha portato il dibattito a focalizzarsi sulla questione del merito di modo da poter portare a frutto tutte le borse erogate senza perdere neanche un centesimo sugli studenti non meritevoli. Di fronte dunque ad un investimento limitato per un numero di studenti (e di conseguenti circoli virtuosi) potenzialmente illimitato si è fatta ancora una volta la scelta più facile: invece di aumentare le risorse per andare incontro alla domanda, si è deciso di rendere l’accesso a tali risorse ancora più difficile e selettivo di modo da poter poi magari vantare un successo nella copertura di tutte le borse di studio.

Le sedie saranno sempre meno, e quando si fermerà la musica la prossima volta rischia di non sedersi nessuno.

Girlson Film
Foto: mirko isaia photography

Quale futuro per l’università?

febbraio 21, 2012 § 3 commenti

Proprio come fanno le persone a capodanno, l’Europa ha fatto i suoi fioretti per l’inizio millennio. “Diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale” (documento conclusivo del Consiglio di Lisbona, marzo 2000). E proprio come le persone, anche l’Europa ha prontamente disatteso le sue promesse.


La strategia di Lisbona, piano unitario di sviluppo europeo per il decennio 2000-2010, prevedeva di portare la conoscenza al centro dell’agenda della società e dell’economia europea. Nonostante i buoni propositi, l’Europa ha dovuto ammettere di non aver affatto raggiunto i propri obiettivi (valutati con appositi indicatori statistici). E nonostante il progetto Europa 2020 rilanci con obiettivi ambiziosi sui piani dell’occupazione e della conoscenza (aumentare l’occupazione della fascia di età dai 20 ai 64 anni al 75%, portare l’investimento in ricerca e sviluppo al 3% del PIL o portare al 40% il numero di 30-34enni in possesso di titolo di studio), oggi è quanto mai difficile crederci.

Cosa è andato storto?
Si è fatto un gran parlare di società ed economia della conoscenza. Molta retorica politica del ‘900 predica l’avanzamento scientifico (leggi tecnologico) come un indispensabile volano di sviluppo e di crescita economica. Sebbene sia ancora lungi dal potersi definire un bene pubblico perfetto, nel Novecento la conoscenza ha fatto passi da gigante in quella direzione. Uno dei ruoli chiave di questa diffusione e democratizzazione del sapere è stato sicuramente giocato dall’avvento della così detta “università di massa”.
Nel nostro paese, la percentuale di studenti universitari sul totale della popolazione è passato dall’inizio alla fine del ventesimo secolo da meno di 1 su 1000 ad un 3% circa, con una brusca accelerazione nel secondo dopoguerra. A oggi il numero di studenti universitari in Italia, su una popolazione di circa 60 milioni di abitanti, si è assestato tra il milione e sette e il milione e ottocentomila, con una decrescita negli ultimissimi anni.
Complice anche l’alto tasso di abbandoni, l’output di giovani laureati nell’università italiana risulta spaventosamente basso se lo accostiamo a quello di altre nazioni: con il 20% della popolazione di età tra i 30 ai 34 anni in possesso di titoli di studio di terzo livello ci collochiamo al terzultimo posto tra i paesi OCSE, subito dopo il Messico, ben lungi da paesi come gli USA o la Francia, la cui percentuale è più del doppio della nostra, per non parlare della Corea, paese che sta vivendo una crescita economica senza paragoni, dove quasi due giovani su tre sono laureati.
Eppure, nonostante l’esiguo numero, assistiamo al dilagante aumento della disoccupazione tra i giovani laureati. Insomma, i giovani laureati in Italia sono pochi, eppure sono troppi – almeno dalla prospettiva del mercato del lavoro.
Se il sistema economico non sa che farsene dei giovani laureati, a che pro illudere dei ragazzi con la solfa stantia della “classe dirigente del futuro”, quando invece la loro laurea in lettere non farà che render loro più difficile l’accesso al call center? Se sforniamo più laureati di quelli le cui legittime aspirazioni riusciamo a soddisfare, a che pro destinare così tanti fondi alla spesa pubblica in istruzione invece di liberarli ad esempio per la sanità o per i servizi sociali? A che scopo investire sulla formazione di talentuosi dottorandi che non potremo riassorbire in alcuna professione di ricerca, regalando così intelligenze formate a qualche paese straniero o semplicemente sprecandole?
In questa chiave di lettura trovano una loro legittimità tutte le manovre politiche (e ancor prima culturali) volte ad alleggerire un sistema universitario sovrabbondante rispetto alle esigenze della società. Certo, nessuno (nemmeno il governo dei tecnici con la sua fiera indifferenza a velleità quali il consenso popolare) oserebbe affermare pubblicamente qualcosa di così scomodo come “rottamiamo l’università”: si parla più elegantemente di meritocrazia e razionalizzazione (Gelmini), si invita al ritorno ai lavori manuali (Tremonti), si additano come sfigati coloro che studiano ancora a ventotto anni (Martone, che essendo un tecnico non ha bisogno di essere elegante).
Questo governo si trova così a dover ridimensionare un sistema universitario ipertrofico, un edificio eretto con ingenuo ottimismo sulle fondamenta della retorica utopica della società della conoscenza, rimpiazzandolo con un edificio più snello ed efficiente, sostenuto dalle solide fondamenta del sistema economico.

A brave new world?
I piani per la demolizione, abbozzati dal team di Gelmini e migliorati dal tecnico Profumo, sono già avviati su molti fronti.
Oggi in Italia c’è circa 1 professore strutturato ogni 30 studenti: un numero particolarmente basso, che si traduce nell’affollamento delle strutture e nella superficialità con cui vengono “somministrati” certi corsi o seguiti certi tesisti. In Svezia questo numero è quasi il doppio. Per riportare a livelli accettabili questa proporzione, a beneficio della qualità della didattica, due sono le strade percorribili: aumentare i docenti o diminuire gli studenti.
In Italia circa 10.000 dei poco meno di 60.000 docenti e ricercatori italiani andranno in pensione nei prossimi dieci anni. Con un’azione legislativa di attuazione la legge Gelmini, il Ministero ha fissato rigidi criteri finanziari per le assunzioni, che non potranno mai superare un’assunzione per ogni due pensionamenti. A tappare le falle provvederà presumibilmente quello stuolo di “accademici usa e getta”, giovani brillanti e precari che battono alle porte dell’università sperando di non rimanere fuori dall’imbuto, e il cui numero oramai supera quello dei docenti strutturati.
A fronte di un questo calo del personale si farà allora urgente la necessità di abbattere il numero degli studenti, a cominciare dagli improduttivi fuoricorso che, secondo l’opinione diffusa dei politici e dei media, stanno sprecando il loro tempo e stanno parassitando risorse pubbliche.
Il Decreto Ministeriale 17 del 2007, promulgato dal governo Prodi-Mussi, ma che solo negli ultimi mesi sta venendo applicato, sancisce una serie di regole auree quali ad esempio il limite massimo di studenti per docente in base a specifici corsi di laurea. Pensato forse in origine come una chiave per aprire gli accessi a nuovo personale docente, oggi sta venendo impugnato dall’altra parte, favorendo in molte università l’adozione del numero chiuso.
Ma le misure più efficaci per ridurre il numero di studenti e/o per scaricare su di loro parte gli ingiustificabilmente alti costi dell’università pubblica devono ancora manifestarsi. Alcuni politici, economisti ed accademici guardano infatti a quanto è avvenuto nel Regno Unito con l’implementazione del rapporto Browne: le rette universitarie imponibili dagli atenei (e di fatto imposte dalla maggior parte) sono passate da 3000 a 9000£. Agli studenti è stato offerto per farvi fronte lo strumento dei “prestiti d’onore”. In Italia, dove il vecchio sistema di diritto allo studio fondato sulle borse di studio sta venendo lasciato morire di atrofia di finanziamenti, questo sistema potrebbe permettere l’accesso agli studi agli studenti “migliori”, che potrebbero altresì scegliersi gli atenei “migliori” operando così una selezione naturale in un contesto di competizione che porterebbe loro un sacco di iscritti e dunque soldi come “premio” per la loro qualità.
E se anche accadesse, come sta avvenendo nel Regno Unito, che molti studenti migrassero per studiare all’estero, che importanza avrebbe, visto che il sistema economico non sa che farsene di tutti questi laureati? Inoltre il prestito avrebbe il vantaggio di spostare i costi dell’università su chi beneficia dell’istruzione, solo se guadagnerà abbastanza da potersi permettere di ripagarlo; se non potesse allora sarebbe colpa dell’università, che avrebbe formato un professionista inutile o incapace, quindi a lei spetterebbe di pagarne i costi. Insomma, un sistema che moltiplica il denaro, e che rischierebbe di trasformarsi in una bolla finanziaria esplosiva solo nel caso in cui si arrestasse la crescita del PIL (opzione che i sostenitori del prestito d’onore ritengono semplicemente impossibile a fronte delle leggi del mercato, poco importano le dichiarazioni di recessione recentemente fatte dall’ISTAT!).
Infine, all’eccessivo numero di corsi, sedi e atenei metterà presto un freno l’ANVUR, l’agenzia di valutazione nazionale, vero e proprio braccio armato del Ministero. Un decreto di recente scrittura attribuisce infatti all’agenzia il potere e dovere di “accreditare” le strutture che soddisfano certi requisiti da essa sanciti ovvero di “sopprimere” quelle che non li rispettano. Una mossa volta a promuovere la competizione tra atenei premiandoli con la sopravvivenza, liberando la politica dallo scomodo ruolo di giudice e boia per affidarlo alle capaci mani “tecniche” dell’ANVUR.
Queste sono le incisive misure che il presente governo sta attuando per riportare l’università dall’iperuranio onirico della “società della conoscenza” alle necessità concrete del sistema economico. Promuovendo la ricerca applicata e il trasferimento tecnologico, così come l’apertura dei CdA agli esterni all’accademia, la politica si è rivendicata il ruolo del Cupido nella meravigliosa storia d’amore tra la CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) e Confindustria.
Il risultato da qui a dieci anni dovrebbe essere un’università ridimensionata, con una costellazione di atenei di medio-bassa qualità che erogheranno una formazione adeguata alla richiesta di maestrine, ingegneri e azzeccagarbugli; su questi svetteranno dei poli di eccellenza che accetteranno solo pochi studenti “migliori”, addestrati per diventare (questa volta per davvero!) la classe dirigente del futuro, a cui quindi sarà perfettamente legittimo chiedere di pagare i costi dell’istruzione di alta qualità che riceveranno.
Gli ultrà dell’università pubblica di massa di alta qualità non potranno allora che rassegnarsi alla logica lineare sottesa a questo teorema: si tratta del risultato migliore possibile dato questo sistema economico. L’università così com’è sta al sistema industriale italiano, col suo scarso appetito di laureati, come le case abusive alle pendici dell’Etna: è un edificio irragionevole rispetto alla morfologia su cui poggia.

Una prospettiva diversa
C’è una premessa implicita su cui si regge tutto il ragionamento: l’analogia tra il sistema economico e la conformazione del territorio. Se accettiamo che il sistema produttivo sia un dato inemendabile di cui la politica debba prendere atto per modellare sopra a questo un sistema di società allora il ragionamento non fa una grinza. Ma c’è un altra prospettiva per vedere la cosa, spesso messa in ombra dalla prassi oggi inveterata di considerare l’economia una scienza descrittiva di uno stato di cose non modificabile. Pur concedendo che un cambiamento del sistema universitario non possa prescindere da una maggiore permeabilità del mondo economico e della società tutta verso la conoscenza, invece di dismettere gli investimenti sul sistema formativo (che già non è sufficiente per sprigionare appieno tutto il potenziale cognitivo della nostra generazione) potremmo ripensare una società ed un mondo del lavoro capaci di assorbire il valore aggiunto di tutto quel capitale umano che ad oggi stiamo sprecando o esportando.

Marco Viola


Call for Riot

gennaio 30, 2012 § 1 Commento

ODE lancia un appello ai movimenti, ai rivoltosi, ai rivoluzionari di strada, ai facinorosi, alle teste calde, agli intellettuali di sinistra, ai poeti delle sommosse, ai nostalgici delle avanguardie, ai resistenti, agli antagonisti e agli utopisti.

Vi invitiamo a immaginare nuove pratiche di lotta nelle piazze e nelle strade, a descrivere tecniche di sommossa alternative, a inventare tattiche inedite da contrapporre alle oscure forse della reazione. Le migliori invenzioni verranno pubblicate sul prossimo numero del giornale e sui nostri mezzi di informazione dispersi sul web (anche quelli occulti).

Questa è una Call for Riot. A differenza delle tradizionali call for papers (noiose competizioni per la pubblicazione di soporiferi testi accademici valutati da commissioni di dotti esperti dal bianco pelo), noi vogliamo dei progetti in grado di figurare sotterfugi sovversivi per inediti tumulti.

Noi vogliamo scardinare la grammatica dei corpi in protesta. Vogliamo rilanciare nuovi linguaggi, promuovere una rivoluzione dei gesti e incentivare la creatività immaginosa delle proteste. Immaginare tecniche di rivolta possibili è il primo ciottolo sul sentiero della realtà a venire.

L’Orizzonte degli Eventi mette a disposizione le sue pagine centrali. I migliori progetti di immaginarie pratiche di lotta troveranno degna esposizione nelle nostre pagine, prima sul numero cartaceo in uscita a marzo, e più avanti su una pubblicazione online.

Per la pubblicazione su cartaceo Inviate entro e non oltre il 15 febbraio i vostri progetti all’indirizzo redazione.ode@gmail.com
Per la pubblicazione online (quindi per i più pigri) saranno accettati anche progetti pervenuti entro il 15 marzo.
Per ulteriori informazioni odiolode.wordpress.com

Lettere alla Redazione – I

gennaio 12, 2012 § Lascia un commento

Pubblichiamo di seguito una lettera ricevuta dalla Redazione questo novembre, a lungo dimenticata (ahinoi, affatto ingiustamente!) in uno dei polverosi cassetti della nostra sede di via Artisti. A parlare è una studentessa Erasmus, Rosa Boch, studentessa brillante e fervente cristiana, che dalla Bavaria è venuta sino a Torino per studiare teologia e conoscere meglio i misteri della Santa Madre Chiesa

Mi sia permesso iniziare ringraziando la redazione del pio Ode per lo spazio concessomi e di congratularmi con loro per l’ispirata scelta del nome della testata, nome che se da una parte richiama quello screanzato e quasi papacida dell’Alamanni, dall’altra ci riporta all’Ode di Salomone. E che, mi sia permesso ancora di aggiungere, risuona delle nobili lodi al creato di Sant’Agostino Abate.
Sono una studentessa proveniente dalla Bavaria (ho quindi la letizia di condividere i natali con l’amato Santo Padre) e ho richiesto di venire a studiare qui, nella capitale della Savoia, per portar a compimento i miei studi teologici. Il cristiano deve sempre tenere la porta del proprio cuore aperta, ed è anche nozione comune che un’esperienza Erasmus cambi la vita, ma vi assicuro che nelle mie timorate preghiere mai avrei immaginato di imparare tante cose nuove su come vivere la cristianità.
Tutto ebbe inizio con il propizio incontro con giovani volenterosi cristiani come me, i quali, con un fervore e un’ardore degni di chi non ha scordato la lezione dell’Apostolo delle Genti, si dedicano alla pesca di anime tra gli studenti. A tale scopo essi dedicano la maggior parte del loro tempo: girano per le aule studio e nelle facoltà durante le lezioni (dove, ahimè, ancora troppi comunisti e nemici di Santa Romana Chiesa insegnano) distribuendo materiale sempre valido e aggiornato sui santi consigli dei Vescovi e della Santa Sede alla società laica e spesso ottusa e peccatrice italiana. Ho subito notato con quale spirito caritatevole questi volenterosi e beati fanciulli cerchino gli studenti più giovani per poter iniziare la loro opera di evangelizzazione: quelli soli, magari lontani da casa e insicuri. Quale operosità! Quale animo! L’ammirazione vinse la mia timidezza e mi avvicinai a loro, iniziando una proficua relazione fatta di scambi, preghiere e dialoghi.
Sapendo con quale passione e forza questi giovani si dedichino alla politica, subito volli con loro confrontarmi su un tema che dal medioevo flagella l’unità della Cristianità, la divisione tra francescana ortodossia e dolciniana eresia. Ammetto di aver peccato un po’ di presunzione, e di aver cercato la provocazione intellettuale, ponendo in risalto la differenza tra la povertà evangelica e la ricchezza di Madre Chiesa. Immaginai la risposta dotta, e anche un po’ prevedibile in realtà, sulla necessità del potere temporale data al mondo da San Pio IX con l’enciclica “Qui nuper”, invece uno di loro si alzò, mi prese a braccetto e iniziò a parlarmi così:
“Vedi, cara Rose, la ricchezza conduce alla Lussuria, un grave, gravissimo peccato. Ma se a detenerla è una comunità retta e illuminata, che male c’è? Abbandonare i denari terreni per lasciare che (Dio ci aiuti!) i comunisti se ne approprino? No cara Rose, quelle sono ingenuità che funzionano forse ad Assisi, ma non dappertutto.”
“E poi possiamo destinarli ai più bisognosi” suggerii.
“Sì, certo, certo… i bisognosi…” ripeté il mio interlocutore, all’apparenza stupito, ma in realtà già assorbito da nuove e profonde cristiane riflessioni. La nostra passeggiata per i labirintici corridoi di Palazzo Nuovo (architettura la cui origine demoniaca è riconosciuta universalmente, anche dalla Chiesa d’Oriente) proseguì in un pacifico silenzio.
Arrivammo davanti a una struttura dall’edilizia precaria, vagamente rassomigliante a una riproduzione in plexiglas della Sacra Grotta, le cui trasparenze erano tappezzate da scritte gioiose e colorate, che riecheggiavano delle Sacre Scritture e invitavano alla pace in terra, schierandosi contro le guerre e i loro finanziamenti. Non solo: seguendo i dotti pareri dei Padri della Chiesa, invitavano anche a finanziare maggiormente gli studi, da garantire anche ai più poveri, miserevoli e bisognosi. Il mio accompagnatore, intuendo i miei pensieri come solo un buon pastore d’anime saprebbe fare, mi strinse un po’ il braccio e mi rivolse un sorriso radiante e penetrante come l’estasi di Santa Rita:
“Cara Rose, sei una buona cristiana, ma pecchi troppo d’ingenuità. Questi studenti rivoluzionari e le loro facili promesse terrene sulla riduzione delle tasse e sull’Armonia Mundi (e se potessero anche sull’Armonia Coeli, ti assicuro!), sai tu, sai a cosa preludono in realtà?”
Non seppi rispondere. Arrossii e con un timido sguardo lasciai che il mio interlocutore, ancora una volta mi illuminasse:
“Sodomia! Libera fornicazione! Laicizzazione delle istituzioni… toglierebbero il Crocifisso dalle aule dove ipeccatori vengono condannati e dalle scuole dove i cristiani vengono istruiti. Con i soldi destinati alla catechesi finanzierebbero la ricerca sulla fecondazione assistita. Avremmo famiglie cristiane costrette a mandare i figli in scuole pubbliche, frequentate da abomini generati in laboratorio da due papà.” E in effetti con lo il braccio sinistro, libero, mi indicò anche dei manifesti che invitavano alla sessualità libera e consapevole. Mi strinsi maggiormente al braccio del mio cavaliere, spaventata e inorridita. Le spalle ormai si sfioravano in un fraterno abbraccio e un brivido mi percorse la schiena, mentre mi accompagnava lontano dalla disgustosa scena. Proseguimmo e parlammo da buoni credenti di famiglia e matrimonio.
“Esatto, cara Rose, necessaria la verginità fino al matrimonio.” Pur concordando con lui, non riuscii a non cadere ancora una volta nella tentazione di provocarne lo spirito intellettuale.
“Eppure sono tanti, anche dentro alla Chiesa ormai, che si chiedono se non siano proprio queste regole la causa di tanti mali del nostro tempo. Pensate al celibato di chi presta sacerdozio. Chissà se gli ominosi scandali che colpiscono la Santa Chiesa, senza tale obbligo…”
“Ah, ti interrompo, cara Rose. Vedi, ancora una volta pecchi di ingenuità, e affronti troppo direttamente il problema… Il buon cristiano rispetta le regole, il cristiano saggio ne intuisce anche gli scopi e agisce di conseguenza. Le regole che il Buon Signore ha fornito sul sesso, attraverso le Scritture e il parere di nobili e dotti Santi Dottori della Chiesa, sono finalizzati a evitare il peccato. Sono per i peccatori, non per i retti. Ma niente di tutto ciò riguarda la sfera privata e segreta della vita del buon cristiano saggio. Se un buon curato evita il propagarsi del vizio e della ludibria nella propria parrocchia mentre, nel segreto a cui è tenuto dall’abito che indossa, consola qualche vedova, commette di conseguenza peccato?” e senza attendere risposta proseguì “no cara Rose, no. E anche fosse un fanciullo… diciamola tutta: meglio che vada coi preti, piuttosto che venga adescato da chissà quali perversi si trovano nel mondo secolare!” “Beh, ma allora,” continuai a provocare “anche l’obbligo di verginità al matrimonio può essere riconsiderato!”
I suoi occhi si illuminarono di approvazione:
“Oh, cara Rose, brava Questo è, finalmente, parlare da cristiani! Si può rispettare, si deve rispettare… ma con saggezza! Se noi per primi fossimo pubblicamente schiavi del piacere della carne, come potremmo dire alla gente cosa fare privatamente?”
“Per non peccare, ovviamente”
“Ovviamente, cara Rose, ovviamente.”

 Nel mentre, i nostri discorsi si erano fatti troppo elevati per il luogo dove eravamo ci avevano condotti fuori da quelle mura. Il mio cicerone dirigeva i passi sicuri verso casa sua mentre proseguiva:
“E ci sono modi per mantenere illibata la donna e rispettarne l’onore e non dover esser tormentati da immagini diaboliche suggerite da voglie inespresse. Cara Rose, i vostri studi teologici avranno di sicuro portato ad approfondire anche questo campo!”

Con un lieve imbarazzo dovetti ammettere di no .
“Ah, ma non fare quella faccia, si può sempre imparare e studiare. Hai mai sentito parlare delle pratiche in uso a Sodoma, prima del disastro? Non arrossire, cara Rose. Se vuoi distruggere i peccatori devi conoscerli, e quando è saggio imparare da essi.”
Potrei continuare a scrivervi ma, ahimè, sia lo spazio concessomi in queste pagine sia la mia capacità di stare seduta sono terminati. Ne approfitto solo per consigliare a tutti e a tutte l’esperienza dell’Erasmus. Al suo termine mi sono sentita allargata spiritualmente e mentalmente.

Dove sono?

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