Quando i tifosi della Juve cantano

aprile 4, 2012 § 3 commenti

Niente da fare. La Juve segna il terzo gol. È finita.

Non si recupera un tre a zero, a Torino.

Una domenica di inizio aprile da cancellare.

Il Napoli, poi, è un ombra di azzurro stinto e affaticato. Resto sul divano – la schiena appoggiata contro i cuscini e le mani strette fra le ginocchia – mentre la rabbia si scolora in rassegnazione. Potrei spegnere il televisore, in fondo mancano dieci minuti. Spegnerlo e porre fine all’agonia. Ma lo sconforto limita ogni mio movimento: appiccico uno sguardo passivo al manto verde.

Poi accade. Tutto lo stadio canta ‘O surdato ‘nnamurato. Migliaia di voci si insinuano fra le parole dei due telecronisti.

I tifosi della Juve cantano l’inno del Napoli.

Per scherno.

*

Prima guerra mondiale, in trincea. Un soldato rievoca la sua donna. Con il pensiero vola verso di lei. Niente vuole e niente spera, se non tenerla per sempre al suo fianco.

*

Istruzioni per l’uso dell’articolo: i pezzi vanno montati insieme, manca un ordine stabilito. Se fra le righe si nasconde un senso, solo il lettore può recuperarlo. Malgrado l’inzio, questo non è un articolo di calcio.

Non voglio architettare agguati contro la Juve e i suoi tifosi.

Se desiderassi compiangere il Napoli, lo farei in privato.

In gioco c’è altro.

Ammetto, sì, che la sconfitta brucia ancora.

*

‘O surdato ‘nnamurato. Tutto lo stadio, a Napoli, canta il canto del soldato innamorato in guerra. Lo intonano quando la partita finisce e la squadra ha vinto. Il Napoli ha battuto il Manchester City e le curve e le tribune rincorrono la melodia, le parole. Gli spalti son tinti d’azzurro, ed è sera inoltrata.

Poi chissà, torna la mattina e il cemento della metropoli afferra gli occhi e le narici.

*

Nel 2002 il Torino sta vincendo contro la Juve. Alla fine del secondo tempo Maresca, centrocampista bianconero, colpisce di testa e pareggia. Esulta, corre verso la curva dei tifosi del Torino e imita le movenze di un toro. Le dita tese verso il cielo diventano delle corna, i polsi restano attaccati alle tempie. La sua sgroppata scarta repentina a destra, poi a sinistra. Maresca si toglie la maglia e ripete la scena. Sorride. Il toro è il simbolo della squadra avversaria.

Un’imitazione.

Per scherno.

*

Oje vita, oje vita mia…

Oje cor ‘e chistu core…

Si’ stata ‘o primmo ammore…

E ‘o primmo e ll’ùrdemo sarraje pe’ me!

Non c’è dubbio che la Juve abbia giocato meglio. Perché appropriarsi della canzone del soldato?

*

«Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più.»

Di sfuggita – perché il punto è un altro! – suggerisco di notare il color dei fiumi.

*

Torino è la città dell’automobile, la capitale degli operai. La famiglia Agnelli è proprietaria della Juve. La squadra dei padroni, dicono i tifosi delle altre squadre. I tifosi di sinistra.

Ma la Juve era anche la squadra amata dai migranti che dall’Italia meridionale si spostavano per cercare lavoro a Torino. La squadra degli operai.

Oggi, la Juve, è squadra di chi?

*

È lunedì, che

delusione

tornare in fabbrica

a servire il tuo

padrone

Oh! Juventino!

Succhiapiselli

di tutta quanta la famiglia

Agnelli.

Altre versioni riportano: ciucciapiselli.

*

Da tante notti non ti vedo, non ti sento fra queste braccia. Non ti bacio il volto. Mi risveglio dai sogni e mi vien da piangere per te.

*

«Chilometri di catrame, di strade enormi che in pochi minuti ti portano fuori da questo territorio per spingerti sull’autostrada verso Roma, dritto verso nord. Strade fatte non per auto ma per camion, non per spostare cittadini ma per trasportare vestiti, scarpe, borse. Venendo da Napoli questi paesi spuntano d’improvviso, ficcati nella terra uno accanto all’altro. Grumi di cemento. Le strade che si annodano ai lati di una retta su cui si avvicendano senza soluzione di continuità Casavatore, Caivano, Sant’Antimo, Melito, Arzano, Piscinola, San Pietro a Patierno, Frattamaggiore, Frattaminore, Grumo Nevano. Grovigli di strade. Paesi senza differenze che sembrano un’unica grande città. Strade che per metà sono un paese e per l’altra metà ne sono un altro.» R. Saviano, Gomorra.

Cosa si canta, nel mezzo del cemento di Scampia? A Frattamaggiore?

*

Forse è la squadra di chi ha perso i propri segni lungo la strada, di chi li ha persi in fabbrica, di chi li ha persi in un presente orfano di futuro.

Il mondo si è scolorito i fumi delle fabbriche hanno rubato i colori il mondo ora è nerobianco e nel bianconero le lucciole non si vedono più.

*

Scrivi sempre che sei felice, io non penso che a te. L’unico pensiero che mi consola: che tu pensi sempre a me. Se c’è donna, al mondo, che è la più bella fra le belle donne del mondo quella donna più bella del mondo non è bella quanto te.

*

Di nuovo sulle lucciole (scomparse):

«In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggior violenza, poiché l’industrializzazione degli anni settanta costituisce una mutazione decisiva. Gli italiani sono divenuti in pochi anni un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire in strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana, l’avevo amata: sia al di fuori degli schemi del potere, sia al di fuori degli schemi populistici e umanitari. Si trattava di amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque coi miei sensi il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione.» P.P. Pasolini, Scritti corsari.

*

Nel centro storico di Napoli i vicoli sono così stretti che non c’è lo spazio per costruire un supermercato.

Resistono i piccoli negozi.

Qualche bottega di artigiano fa capolino.

*

Perché imitare? Imitare in mezzo al vuoto.

«Il trauma italiano del contatto tra l’arcaicità pluralistica e il livellamento industriale ha forse un solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i valori delle diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta omologazione dell’industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non ancora moderne (borghesi), che hanno costituito il selvaggio, aberrante, imponderabile corpo delle truppe naziste.» P.P. Pasolini, Scritti corsari.

Ma Pasolini esagera sempre. Va letto di sbieco.

 

Franciaccio Migliesco

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