La solitudine degli indignati

aprile 14, 2012 § 2 commenti

Se c’è una vittima, lo sai. Lo sanno tutti quando c’è una vittima. Si siedono davanti alla TV per pranzo e sanno che c’è una vittima, da qualche parte, qualcuno da piangere.
Se c’è uno scandalo, lo sai. Non hai capito una sega della riforma del lavoro, non ti disturba la xenofobia della Lega, ma dei milioni rubati ti indigni sempre. E poi torni alla fettina al burro che ti guarda rattrappita dal piatto.
Perché l’assuefazione è così: sorprende sempre per restare uguale a se stessa. Se volessi una sorpresa reale, un cambiamento, qualcosa, non accenderesti l’ennesima sigaretta, sperando che faccia sfumare il nervosismo. Tireresti via il pacco, masticheresti liquirizia. Passando ad un’altra dipendenza.
Sono diviso tra una nuova sfiducia, una disillusione fiorita nelle ultime settimane riguardo all’agire collettivo e il rancore provocato dall’individualismo d’indignazione. Perché questo, sugli ultimi mesi, dobbiamo dirci: abbiamo sbagliato parole d’ordine, abbiamo impostato un immaginario fallimentare. L’indignazione non basta, ci dicevamo. L’indignazione non serve, avremmo dovuto dire. Perché l’indignazione fa appello alla dignità, un senso individuale, per tutti diverso, l’indignazione è diversa dalla rabbia, ma non più costruttiva. Solo una sfumatura diversa della sconfitta. La costruzione di una collettività non può partire da un sentimento così beceramente individuale: il movimento negli ultimi anni è caduto nella trappola che gli era stata preparata. Ha raccontato una storia già sconfitta, per assuefazione. Così, come si fuma una sigaretta.
Il nostro, a memoria, è il Paese sempre indignato. Al punto che pure l’indignazione, che dicono meglio di niente, dicono, forse era meglio niente, forse era meglio rabbia, è spenta, è un rito, assieme al caffè, o all’amaro dopo i pranzi pesanti, la Colomba e l’Uovo di Cioccolato a Pasqua. Insomma, 8-12.30 lavoro 12.30-13.00 viaggio verso casa 13.00-14.00 pranzo e mi indigno un po’ 14.00-15.00 riposino 15.00-18.30 lavoro 18.30-19,30 traffico, bestemmie e radio 19.30 casa. La routine dello scagliarsi contro la casta e della pasta scotta, la routine dei broccoli saltati e dell’alternativa possibile a sinistra. Quando, poi, tutto cade a pezzi e la violenza dei decreti del governo tecnico di acclamazione popolare(GTAP) viene nascosta dall’ennesimo scandalo che coinvolge la famiglia di questo o quel politico (è toccato a Bossi, toccherà a qualcun altro, in perpetuum), semplicemente sai qual è la prassi: ti indigni, versi un bicchiere di vinaccio della cantina sociale, finisci la cena, fumi una sigaretta. E vedi che dice Carlo Conti.

Iosonolodio

Omosessuali scontenti? Malati no, disabili sì.

aprile 13, 2012 § Lascia un commento

Come spigare all’Inps perché in Italia gli omosessuali e i bisessuali meritano l’unica pensione della loro vita.

ICD9 non è il nuovo tipo di lacrimogeno cancerogeno a disposizione delle forze dell’ordine in Val di Susa, ma lo strumento diagnostico che assegna a ogni patologia o condizione di interesse medico un codice di lettere e numeri. In base a questo codice si può sapere se si tratta di una patologia psichiatria piuttosto che cardiaca. Ad esempio ICD “K “sono tutte le patologie dell’apparato digerente, ICD “A” e “B” tutte le infezioni di virus e microrganismi vari.
Proprio per la sua ateoreticità (la sua stesura e tutte le sue revisioni sono dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) e praticità, è lo strumento usato nelle unità di valutazione handicap come in tutte le commissioni pubbliche che certificano inabilità al lavoro, indennizzi per incidenti ecc…
Niente di strano fino a qua; ma perché questo tomo di svariate pagine e dal nome da androide di George Lucas è tornato alla ribalta?
Nessuno se ne è accorto, per anni, ma in questo strumento utilizzato quotidianamente dai medici di tutta Italia è ancora presente l’omosessualità, capitolo V lettera F, patologie psichiatriche. Quando gli attivisti del movimento GLBT l’hanno scoperto e l’hanno fatto notare, funzionari del ministero e delle ASL di tutta Italia, increduli, sono andati a controllare e verificare. È vero: se per i manuali di psicopatologia comunemente usati per le diagnosi psichiatriche l’omosessualità non è più una malattia, e da diverso tempo ormai, per il manuale di certificazione delle disabilità non è lo stesso. Per lo Stato, insomma, gli omosessuali magari non sono proprio malati. Ma disabili, sì.
Come è possibile?
C’è da chiarire che l’ICD è arrivato alla sua decima revisione. Il lavoro di riscrittura è iniziato nel 1983, con diverse pubblicazioni che attestavano lo stato dei lavori e le novità di classificazione diagnostica apportate, ed è stato completato nel lontano 1992. Questa edizione ha ampiamente accolto le criticità dei movimenti GLBT e delle associazioni psichiatriche di tutto il mondo, e l’orientamento sessuale non è mai né diagnosi, né criterio diagnostico per qualche psicopatologia.
1992.
Nel 1992 la nazionale italiana era ancora ferma a 3 mondiali vinti, per dire.
Non che i medici non sappiano che sia uscita una nuova edizione dell’ICD; lo sanno bene e la utilizzano anche come testo di riferimento diagnostico. Contraddizione tutta nostrana: le patologie psichiatriche vengono diagnosticate anche in base ai criteri ICD10 (motivo per cui nessuno fa più diagnosi di omosessualità egodistonica), ma le pensioni percepite dai pazienti psichiatrici vengono date in base all’ICD9. Questo perché nessuno in 20 anni si è mai preoccupato di convertire i criteri di assegnazione degli assegni di accompagnamento, invalidità e disabilità in base alla nuova classificazione. Pigrizia, immobilismo e burocrazia, insomma, rendono tutti gli omosessuali per lo Stato Italiano soggetti clinicamente sani, ma potenzialmente aventi diritto a una pensione. Cosa che negli ultimi tempi non è da tutti.
L’adozione del “nuovo” testo, come la chiama il Ministro, che definirebbe la mia camicia anni 80 comprata in un second hand shop ad Amsterdam, sotto chiaro effetto psicotropo, come “non così vecchia”, non è nelle priorità dei lavori del Ministero. Per cui abbiamo tutti un sacco di tempo per recarci all’INPS e chiedere di percepire la nostra pensione da omosessuali egodistonici.
Ora va spiegato un attimo questo concetto di egodistonia e del perché sia stato superato dal progredire delle conoscenze sulla psicopatologia sessuale.
L’omosessuale egodistonico distingue molto bene i colori, contrariamente al suo cugino daltonico, ma non è in sintonia con il proprio orientamento sessuale. Non vuol dire niente di particolarmente sensato, ma si intendeva: è gay, lesbica o bisessuale ma soffre di questa condizione.
I motivi di non accettazione di quello che si è possono essere svariati. Si è visto però che spesso sono riflesso di condizioni esistenti fuori dall’individuo, nei giudizi nella società e nei valori culturali della comunità dove il nostro omosessuale o bisessuale scontento vive, salvo rari casi dove questo disagio sottende altri disagi psichici clinicamente obiettivabili come stati depressivi, problemi di personalità ecc… Insomma non è tanto l’omosessualità o la bisessualità la malattia, ma l’omofobia che rende tale condizione motivo di stress psicologico.
Però aggiornare i criteri con cui vengono certificate le pensioni non è priorità del Ministro, per cui ci teniamo l’ICD9 che passare all’ICD10 è faticoso. E poi rischiamo di dover passare alll’ICD11 tra vent’anni, e allora che senso avrà avuto tutto questo lavoro?
Uno può anche chiedersi come fa l’INPS a sapere l’orientamento e il livello di disagio che questo mi provoca.
Ho immaginato il mio colloquio con l’addetto gay scontenti della pubblica amministrazione.
Innanzitutto non c’è pericolo che metta in dubbio il mio orientamento sessuale: ho un blog dove carico quotidianamente i miei filmati porno, e che riceve anche 1000 visite al giorno, che può testimoniarlo; e se proprio dovesse insistere ho il “limone facile” e non ho paura ad usarlo, soprattutto se questo è lo step necessario per ottenere l’unica pensione che, grazie al Ministro Fornero, probabilmente percepirò mai.
Poi gli porterei gli esempi di tutte quelle volte in cui è disagiante essere omosessuale. Allora, a Natale, quando tua nonna continua a martellarti con il solito ritornello della fidanzata e la vecchia tecnica “ubriaca la vecchia”, tramandata segretamente da generazioni, sembra non funzionare come dovrebbe. Sabato mattina scorso: credevo di essermi fermato a dormire da due centravanti di sfondamento della nazionale ungherese invece era la “over 65” di Canasta di Alba. Quando ho scoperto che il ragazzo a cui ho detto no un po’ di anni fa ora è diventato schifosamente ricco; e lui mi amava davvero e mi avrebbe mantenuto, non come lei signor impiegato dell’Inps che fa tutte queste storie per una pensione. Ma ora il riccastro mi odia e non mi offre nemmeno da bere il venerdì sera.
Quando scopro che in tv gli unici omosessuali che hanno spazio e diritto di parola sono Maggioglio (a cui voglio dire che le cotte per i calciatori si prendono a 14 anni, non a 70) e Signorini.
SIGNORINI, capito?! Non è un motivo valido per percepire una pensione?!
E se non fosse ancora convinto potrei portare un sacco di altri esempi: l’omosessualità mi procura disagio quando scopro che essere omosessuale è peccato, però mettere i propri soldi in banche che investono in armi e petrolio no. L’omosessualità mi crea un sacco di egodistonia quando so che se cerco lavoro sono discriminato, e le assicuro che per uno della mia età non è facile cercare lavoro già così. Ah certo, forse non per tutti i lavori, vero: volessi commentare come cantano ad Amici o cantare ad Amici sarebbe un requisito (chissà se esistono le pensioni per eterosessuali egodistonici che vorrebbero cantare da Maria de Filippi ma non possono…) ma se volessi insegnare in una scuola elementare, in un asilo o fare il pediatra…
Ma ciò che mi rende più egodistonico di tutti è scoprire che essere omosessuale mi crea più problemi nel mondo del lavoro, della ricerca universitaria e in tantissimi ambiti della vita comunitaria che se fossi fascista o leghista. E credo di meritarmi una pensione per questo.

Pivo Andrić
Fotografia: Mattia Sansoni

Standard and Poor’s declassa Roma 3

aprile 7, 2012 § Lascia un commento

Scioccante decisione dell’agenzia di rating Standard and Poor’s che, nella giornata di ieri, ha annunciato di aver declassato il giudizio sui titoli dell’università Roma 3 da A++ ad A. Per rassicurare i mercati, il C.d.A. dell’ateneo ha annunciato l’immediata espulsione di tutti i fuoricorso nonostante la ferma opposizione degli studenti del terzo polo (universitario).
Ha colto l’occasione una cordata guidata da Unicredit che ha subito annunciato l’apertura di una nuova università presso l’outlet di Valmontone; ancora non si sa se il nuovo polo si chiamerà Università C.R.T. (Ciao Roma Tre) o Roma 4 S.p.A..
Intervistato da un quotidiano locale, il rettore dell’università di Catania dichiara: “non temiamo la concorrenza, per rassicurare i nostri clienti abbasseremo ulteriormente la qualità dell’offerta formativa.”.
Malgrado questo scossone, grazie alla risalita dell’euro, tengono bene i titoli nostrani: La Sapienza resta stabile a quota 0.6 Ph.D Yale, risale a 0.47 il Politecnico di Torino, in leggera flessione la Bocconi a causa dell’improvvisa carenza di docenti dopo l’ultimo aumenti dei ministeri del governassimo.
In crescita esponenziale i titoli delle università inglesi dopo l’aumento delle rette e il dimezzamento degli iscritti: la strategia congiunta con i petrolieri del Quait per affamare la domanda e far salire i prezzi comincia a dare i suoi frutti. Non sapendo come reagire a questa contingenza i mercati mimano una rassicurata tensione con sopracciglio alzato.
Procedono intanto le manovre di Austerity al San Raffaele, ormai commissariato dopo la sfilza di suicidi tra i membri del Consiglio di Amministrazione. Per sbloccare i prestiti del F.M.I. La Troika ha imposto la vendita della famosa cupola a un interessatissimo magnate giapponese che ha già inviato gli elicotteri per il trasferimento. Misura inaccettabile per studenti e professori che si sono scontrati anche oggi con le forze dell’ordine.
Il leader della protesta, Massimo Cacciari, dichiara: “ci sentiamo vicini ai compagni di Piazza Syntagma”. Credendo di parlare di un collettivo di linguisti.

Kollettivo Automatizzato Anvur

Il Cibo Crudo – II

febbraio 23, 2012 § 29 commenti

Ultimamente mi capita sempre più spesso di imbattermi nella spinosa questione del vegetarianesimo. La definisco spinosa principalmente perché accogliere o respingere il paradigma è una scelta complessa che coinvolge più livelli: emotivo, morale-etico, scientifico, ambientalista. Il dibattito si articola il più delle volte sulla linea tra scienza e pseudoscienza, tra ragione e emotività; inoltre il problema è tale da richiedere, da parte di chi lo accetta o rifiuta, una scelta e un’assunzione di responsabilità che può implicare un completo cambio del proprio stile di vita.
Proprio quest’ultimo motivo ha due importanti conseguenze. Primo: chi diventa vegetariano deve avere ottimi motivi per farlo, per poter giustificare una così grande scelta, e per avere la forza di fare il salto. Secondo: chi, posto dinanzi al problema, sceglie di non diventarlo, deve avere a sua volta buoni motivi per giustificarsi e non avere problemi con la propria coscienza.
Dettaglio non secondario: in casi come questo, non scegliere equivale a scegliere per il no: non ci sono vie di mezzo, almeno in linea teorica (ma è sempre possibile ad esempio mangiare carne in piccole quantità).
In questo piccolo articolo non intendo scendere nel dettaglio delle argomentazioni delle due posizioni, ma mi limiterò esclusivamente ad esprimere il mio punto di vista sui fondamenti emotivi e razionali dei ragionamenti dei pro-veggie, dunque da un punto di vista assiologico.
A titolo d’esempio scelgo tre fonti principali da cui trarre elementi per il mio esame: ILpianetaVEGetariANO, pagina facebook molto nota nel settore; sceglivegan.org, altro sito di riferimento affine (sebbene vegano e non vegetariano); vegetarianpage, un’altra pagina facebook. Porto come fonti due pagine facebook perché aggregano contenuti vari e non hanno un autore unico, e ritengo possano mostrare adeguatamente il mainstream.Nelle pagine facebook trovo alcuni contenuti che mi spaventano o preoccupano, a seconda dei casi. Faccio solo alcuni esempi. Qualche settimana fa ho trovato dei link alla pagina di una signora che sostiene di essere guarita miracolosamente da un tumore maligno solo grazie alla medicina vegetale e alla sua forza interiore. Mentre scrivo, vengono postati link a siti come godsdirectcontact, con articoli che osannano lo stile di vita vegetariano e il contatto con la natura gattopoli.it, e altri siti animalisti, in cui vengono narrate commoventi storie su cani che salvano uomini, uomini che salvano cani, maiali salvati dal macello e tutti che si amano e si vogliono bene (le pagine facebook di vegetariani sono uno sproloquio di cuoricini e faccine sorridenti), siti del tipo scuoladellasalute, dove chiaramente le vie per la salute sono piuttosto esoteriche e interessano “autoguarigioni” e “channelling”.
I contenuti presentati e il generale stile di pensiero delle persone e dei punti di riferimento-guru del settore hanno una ben chiara impostazione mentale, che mi sento di poter definire spiritualista, o, se vogliamo, trascendentalista, alla Thoreau. Molto spesso mi sono trovato di fronte a un uso molto aggressivo della retorica (non che siano gli unici, ma…), perché i vegetariani e vegani amano la natura, amano gli animali, si amano tra di loro e insomma, amano, mentre chi mangia carne è cattivo, crudele, irrazionale, insensato.
Se vogliamo porci da un punto di vista scientifico, razionale, laico, gli irrazionali sono loro. Ora, mi riferisco solo ad alcuni elementi e ad alcune fonti, ma ad ogni modo ritengo formino buona parte dell’orientamento psicologico dei settori di cui sto parlando. Le mie sono sensazioni, opinioni, ma le offro con la speranza che siano ascoltate come motivate.
A mio modesto parere la matrice filosofica del vegetarianesimo va ricercata nelle correnti ilozoiste, quelle che considerano la terra, l’universo e tutto il resto come degli insiemi unitari e fortemente interconnessi, spiritualizzati, con una divinità immanente anche se non sempre dichiarata che conferisce unità e, a tutto, anima. Da questo modo di vedere, piuttosto buddhista, deriva il suddetto amore per tutto e tutti, animali inclusi.

Questa matrice irrazionalista e spiritualista può, a mio parere, avere dei risvolti pericolosi: in primis, è terreno fertile per truffatori e ciarlatani che vivono vendendo erbe magiche, pozioni, guarigioni alternative, false promesse e false illusioni; in secundis, assiologicamente, è una posizione a mio parere sbagliata, in quanto irrazionale, pseudoscientifica, falsa (anche se probabilmente, spesso, in buona fede); per finire, può essere pericolosa per chi ci casca, in quanto le persone che credono in tali faccende (e che così facendo si abituano a modelli mentali irrazionalisti e pseudoscientifici) possono essere indotte a scegliere rimedi inefficaci alle malattie – rischiando di curare un tumore con l’acqua santa e l’alzheimer con un pellegrinaggio.Il vero problema è che c’è chi ci crede.

Mi si potrebbe far notare: beh, e cosa c’è allora di diverso da una qualunque religione? Non potrei che rispondere: in effetti, credo proprio che si tratti di una specie di religione, però laica. Ho visto pagine su pagine di persone che dedicano la propria vita a queste idee, scambiandosi dolci, foto di maialini e gattini con occhi enormi, coperte di scritte e photoshoppate peggio delle foto profilo dei truzzi. Secondo me, ammesso che sia sbagliato trattare ugualmente i diversi, allora tanto umanizzare i disumani quanto tacciare di disumanità quelli che trattano in modo disumano i disumani sono atteggiamenti profondamente sbagliati.

Conclusione. Sia ben chiaro che io qui sto criticando un solo lato del vegetarianesimo, veganesimo e affini: la spiritualità e l’accento (retorico o reale) sull’amore e sul rispetto verso l’universo e gli animali. Non è questo il luogo per esporre la mia opinione, ma al fine di permettere al lettore di contestualizzare le mie opinioni mi sembra giusto farvi un accenno: credo che il consumo di carne vada ridimensionato, come più in generale il consumo eccessivo di qualunque cosa in ogni aspetto della nostra vita, per ragioni etiche e ambientaliste; inoltre credo che gli animali siano delle gran belle cose, ma che si tratti di un errore di antropomorfizzazione parlare di sensibilità, paura, gioia, emozioni, stress, rabbia o dolore (in quanto semplici reazioni meccaniche da noi interpretate e tradotte in emozioni umane); credo che usare inutile violenza o crudeltà sia un comportamento privo di senso, anche se non sempre moralmente sbagliato in senso stretto, e che quindi vadano evitate inutili atrocità, dove possibile.

Pietro Pasolis

Il Cibo Crudo

febbraio 18, 2012 § 13 commenti

Ultimamente mi capita sempre più spesso di imbattermi nella spinosa questione del vegetarianesimo.
Del perché qualcuno si rifiuti di mangiare carne.
La prima cosa che associo alla carne è la bontà, il vivido orgasmo gastrico che mi procura ad ogni boccone.
La carne è buona, non ci sono cazzi. Ma questo si sa da almeno 10.000 anni, quindi i vegetariani non mangiano carne per altri motivi.
I motivi sono molteplici, e potreste sentirne almeno tre diversi da tre vegetariani differenti; ma hanno tutti come radice comune il problema dell’allevamento intensivo.
L’allevamento intensivo è senza mezzi termini e senza esagerazioni il l’applicazione del nazismo al settore alimentare.
Gli allevamenti intensivi, i mattatoi, i trasporti e tutta la filiera della carne ricorda in maniera impressionante la sistematica nazista.
Gli animali, dalla nascita al macello, vengono rinchiusi, mutilati, percossi, e sono soggetti a somministrazione di antibiotici e ormoni vari.
Per ogni animale c’è una filiera diversa, che però ha alla base la totale privazione di dignità degli animali; avviene attraverso brutalizzazione, assenza di igiene, assenza dei cicli naturali di vita degli animali.
Intendiamoci, nella morte non c’è dignità. Ma la filiera della carne è brutale dalla nascita alla morte dell’animale.
Io non voglio convincere nessuno a diventare vegetariano, io vorrei solo portare qualcuno di voi a pensare per un secondo a cosa mangia.
Perché non è un problema solo degli animali che vengono allevati e macellati in questa maniera, ma è un problema etico, ambientale e di coscienza.
Non possiamo fare finta che la carne piova dal cielo per cadere nel nostro piatto già bella pronta, senza sapere o far finta di sapere cosa sta dietro a questo sistema.
Diventare vegetariani inoltre non cambia nulla, perché il problema non si limita alla “fabbricazione” di carne, ma si estende all’agricoltura e alla pesca.
La pesca si divide in due rami: l’allevamento e la pesca d’altura.
L’allevamento grosso modo è come il settore della carne: sovraffollamento degli animali, somministrazione di antibiotici e ormoni, scarso igiene e grande impatto ambientale.
La pesca d’altura è invece paragonabile ad una guerra vera e propria.
Navi gigantesche solcano i mari attrezzati di sofisticate apparecchiature per individuare i banchi di pesce, reti che possono arrivare anche a 120 Km di lunghezza che setacciano tutta la colonna d’acqua dal fondale fino al pelo dell’oceano, cavi con milioni di ami che uccidono ogni cosa.
Le reti a strascico devastano i fondali distruggendo le foreste di alghe e tutti gli habitat marini legati alle specie sessili. Le reti inoltre non sono selettive ma pescano tutto ciò che incontrano: pesci vari, squali, delfini, tartarughe e anche i tanto amati cavallucci marini.
Lo spreco che sta dietro alla pesca è enorme, e non ve lo starò a raccontare qui, se la cosa vi tocca informatevi altrove.
Vi accennerò invece alcuni problemi legati all’agricoltura.
L’agricoltura, come l’allevamento e la pesca, non è quello che ci immaginiamo.
Non ci sono più i contadini vecchi e sdentati che con la zappa in mano coltivano gli orti e badano ai campi. Sto’cazzo.
Adesso l’agricoltura consiste nel coltivare mais e soia. Distese immense di centinaia di ettari coltivate a mais e soia. Il perché è molto semplice: il mais e la soia sono piante davvero versatili, e possono essere scomposte e ricomposte come si vuole, ci si può fare tutto.
Quindi non stupitevi se il 90% dei prodotti presenti nei supermercati derivano da o contengono soia e/o mais.
Inoltre, entrambe le piante sono state abbondantemente modificate da multinazionali (coma la vecchia Monsanto, già artefice del DDT e dell’Orange Agent, usato in Vietnam) che ne detengono proprietà e diritti.
Tutti gli altri ortaggi sono coltivati in serre in Europa e da lavoratori/schiavi in Sud America.
Quindi un avviso a tutti i vegetariani e vegani dei miei coglioni che a cuor leggero e con la coscienza a posto schifano la carne, per poi abboffarsi di insalata lavata nei pesticidi chimici: usa il tuo fottuto cervello per capire da dove arriva e cosa ha passato il tuo pranzo.

Shimshon il filisteo
foto: Federica Peyronel (flickr)

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