Le vacanze in Spagna costano un occhio

aprile 25, 2012 § Lascia un commento

Quest’anno è la Germania che detta le tendenze per la primavera e l’estate. In Spagna per esempio, nella centralissima ed esclusivissima della Moncloa (la sede del Governo) politici ed amministratori stanno inaugurando una nuova stagione di colori sbiaditi e tagli netti, a cominciare dalla sanitá. Il taglio annunciato è del 10% rispetto al budget degli anni passati; in abbinamento alla mise «vedo non vedo, forse non c’è più» troviamo anche un tocco d’altri tempi: l’obbligo della donna a giustificare l’aborto al medico che le rilascia l’autorizzazione a procedere, non includendo tra le motivazioni accettate quella «socioeconomica».
Quest’ultima misura al momento non è nell’agenda delle prossime azioni del Governo, ma la dottrina pro-life è stata piú volte difesa pubblicamente dalla destra spagnola.
Nell’istruzione le forme suggerite appaiono familiari all’italico gusto: tagli al Fondo di Finanziamento universitario, aumento delle tasse attraverso la celebre formula dell’innalzamento della percentuale di contribuzione studentesca (non vi diamo meno soldi, è che dovete essere più collaborativi!) e della riduzione delle borse di studio; i Consigli di Amministrazione si popoleranno di rappresentanti «del mercato» non eletti da nessuno. Nell’insegnamento inferiore ogni professore vedrà aumentate le ore settimanali (licenziamenti) e faranno lezione a classi un 20% più numerose (più licenziamenti).
Questo e molto altro è previsto dala stragia «EU 2015«, l’attuazione delle direttive europee del piano di Bologna e di Nizza sull’istruzione.
Sul lato del lavoro la riforma continua la precarizzazione, o flessibilizzazione, del lavoro attraverso il libero sfoggio del licenziamento “per motivi economici” senza l’incorrere in sanzioni e con un’indennizzo al lavoratore corrispondente a 33 giorni lavorativi per anno di lavoro effettivo; maggiori possibilità di modifica del salario, delle mansioni e dell’orario
lavorativo, incentivi per chi sospende temporalmente il contratto, nuovo contratto di formazioni per giovani sotto i 30 anni, con salario minimo e durata tra uno e tre anni (periodo di prova di 12 mesi), possibilità di licenziamento collettivo senza passare dalla contrattazione sindacale. Questo e molto altro sulle passerelle iberiche. Sorpresi?
Se l’originalità non sta nell’essenza delle nuove mise proposte, la possiamo trovare nelle forme di attuazione di queste misure.

La risposta da parte di chi soffrirà i tagli è stata imponente: il 29 marzo. Lo sciopero generale in tutta la Spagna è stato attuato anche grazie a decine di picchetti che hanno fermato fabbriche, negozi e mezzi di trasporto pubblici, a blocchi del traffico per permettere alle persone di camminare verso un unico obiettivo per tutta la giornata: il futuro da riprendersi.
Una giornata che da ogni fronte di movimento è apparsa come ben riuscita. I media nazionali hanno riportato solamente le cifre del numero di cassonetti distrutti, dei danni totali ad edifici e cose, del numero degli arrestati e dei feriti.
La risposta statale e autonomica è stata più spaventosa che imponente: in Catalunya, a Barcellona, due elicotteri sorvolavano la città fin dalla notte precedente, e Guardia Urbana e Mossos d’Esquadra occupati in assetto antisommossa, che hanno cercato di mantenere l’ordine con non poche difficoltà: numeriche per le molte manifestazioni in contemporanea della giornata, e logistiche per l’ubiquità dei gruppi più aggressivi nei punti caldi (banche,
uffici dell’impiego, multinazionali, centri commerciali, imprese e auto di lusso).
La risposta si è articolata con arresti, lacrimogeni e proiettili di gomma: la prima misura ha riportato le persone all’epoca franchista, in molti associano le «bombas du humo» alla repressione del dittatore finita nel ’75, ma che ogni giorno di più sembra ricomparire nelle azioni politiche e di piazza.
I proiettili di gomma sono in dotazione alla polizia spagnola e alle polizie autonomiche, che in Catalunya ne fa abbondante uso; sono classificate come armi «non eccessivamente letali», ma dal ’95 ad oggi si stima che abbiano fatto già quasi venti morti, e centinaia di feriti gravi.
Le «balas de goma» hanno privato di un occhio tre italiani in situazioni non pericolose nell’ultimo anno, e lo scorso mese hanno ucciso un ragazzo basco per l’emmoragia cranica che possono provocare.
La violenza che si percepiva sfilando per le strade di Barcellona durante la huelga general è disorientante: le polizie (nazionale e autonomica) arrivano all’improvviso sfrecciando a tutta velocità per disperdere le persone (spesso facendo male a qualcuno), e se le persone non se ne vanno saltano giù dalle camionette ancora in movimento per picchiare alla cieca: manifestanti con le mani alzate, fotografi, giornalisti, turisti ignari, fino a che esauriscono la scarica di adrenalina per poter continuare la loro folle corsa a sirene spiegate, in gruppi di 6- 10 camionette con 8-12 mossos per ognuna. Non importa «di che spezzone tu sia», non devi stare in strada, nemmeno sul marciapiede, la strada è loro.
Alti incarichi del ministro dell’Interno e della Polizia hanno rivendicato la buona attuazione poliziale, che di fronte a «masse tanto aggressive» non poteva discernere i buoni dai cattivi: si dispiacciono per i buoni che hanno pagato, ma avrebbero dovuto semplicemente allontanarsi dalla manifestazione.
Le reazioni a questa giornata sono state duramente repressive da parte dello Stato: è stata infatti proposta una riforma del Codice Penale riguardante le norme processuali per atti di guerriglia urbana e la legge di sicurezza cittadina. Il ministro dell’Interno Díaz – un nome una garanzia – vuole introdurre il reato di attentato all’autorità attraverso resistenza passiva o attiva grande, con una pena tra 1 e 6 anni, il reato di diffusione di convocatorie violente attraverso internet e l’allungamento della detenzione preventiva; inoltre si estenderà la quantificazione dei danni alle interruzioni di servizi pubblici, mentre attualmente si valutano solo i danni a cose.
Si è negato che queste misure servano a restringere la libertà di manifestazione, affermando che si vuole punire solamente chi compia un atto di «autentica prostituzione del diritto di manifestazione». Un aneddoto su questa frase: oltre a non aver sicuramente convinto chi dubitava sulle finalità di queste misure, ha aumentato l’indignazione delle lavoratrici sessuali spagnole, già organizzate da tempo in una piattaforma e che il 26 aprile scenderanno in piazza per rivendicare la dignità della propria attività, sentendosi anche loro sempre più in pericolo trovandosi in uno spazio pubblico, e il pericolo è costituito dalle forze dell”ordine. (Prostitutas indignadas).
I movimenti hanno reagito súbito ai 70 arresti nel giorno della manifestazione, di cui 3 preventivi confermati in vista della riunione della Banca Centrale Europea a Barcelona il 2 e 3 di maggio. Sta nascendo una piattaforma antirepressiva che riunisce, al momento, una quindicina di movimenti politicamente trasversali di quella che si potrebbe chiamare
l’area extraparlamentare, che hanno chiamato una manifestazione ieri a Barcellona contro la repressione crescente; si muoveranno in direzione tecnica (supporto legale agli arrestati e durante le manifestazioni) e politica, perchè la grande domanda che le persone sentono crescere è: che cos’è la violenza? Ed è una domanda che molti italiani si sono ritrovati a farsi dopo gli avvenimenti in Valsusa quest’anno.
Alla fine della manifestazione contro la repressione di domenica 22 aprile sono state fermate 6 persone, di cui 2 ora in arresto per aver fatto delle scritte sui muri, reato che normalmente è punito con una multa. Non solo non si sono giustificati gli arresti, ma si continua con la violenza verbale da parte delle forza dell’ordine, che hanno replicato attraverso il suo Coordinatore generale regionale David Piqué: «si possono nascondere dove vogliono, perchè li troveremo. Sia in una caverna o in una cloaca, dove si nascondono i ratti, o in un’assemblea, che non rappresenta nessuno, o dietro la scrivania di un’università». Parole quanto meno dinamitarde in un momento di crisi ecnomica senza possibilità all’orizzone di risalita. Il primo maggio ci sarà la manifestazione annunciata già dal 30 marzo.
In tutto questo clima di violenza, non è mancato chi ha cercato negli stranieri la causa delle violenze: un articolo della Vanguardia dell’8 aprile a firma di Enric Juliana accusa anarchici italiani affiliati del movimento No Tav di essere «il germoglio anarcoitaliano violento degli scontri nel giorno dello sciopero generale». Un tocco di esoticità che piace di qua e di là.
Intanto continuano gli sgomberi di persone che non possono pagare il mutuo, continua l’emigrazione degli spagnoli, le uscite africane a caccia di elefanti del re e il lancio di «nuove collezioni»: il vintage è tornato davvero di moda, e guardando bene ci si accorge che non sono capi nuovi a cui si è volontariamente deciso di attaccare delle «pins» o di aggiustare con spalline perchè sembrassero antichi: qualcuno ha tirato fuori vestiti da un armadio che si sperava definitivamente chiuso.

Girafa Desquiciada

La valle che resiste e non si arrende

marzo 18, 2012 § Lascia un commento

Riceviamo dal comitato NoTav Torino e pubblichiamo:

La Valle di Susa è per natura geografica luogo di scambio, non solo in senso trasportistico e commerciale. Lo è stata per i primi contadini del neolitico a cavallo delle Alpi, per eserciti e pellegrini lungo i sentieri dei boschi e la via Francigena; lo è tuttora e in qualche modo continuerà ad esserlo in futuro. Non si può comprendere l’originalità del movimento No Tav se non partendo dalla Storia sociale del territorio (parlo degli ultimi decenni, tranquilli)

La società civile attiva in Val di Susa

Già terra di brigate partigiane, nel dopoguerra la bassa valle industrializzata è stata significativa protagonista delle lotte per i diritti dei lavoratori, nonché del pacifismo cattolico di base attivo contro la produzione di armi e per l’obiezione di coscienza al servizio militare. All’inizio degli anni 70, con il Collettivo Operai e Studenti questo lembo del Torinese ha rappresentato un’importante esperienza di aggregazione politica dal basso nel campo della sinistra extra-parlamentare: a tutto tondo, anche con un paio dei suoi figli entrati in Prima Linea e poi per anni incarcerati.
Intanto, fin dagli anni ’60, la crisi di alcune aziende manifatturiere (Cotonificio Valle Susa) aveva già dato inizio, qui più precocemente che altrove, ad un processo di deindustrializzazione che ha generato lotte socialmente aggreganti in difesa del posto di lavoro ed al contempo ha posto drammaticamente l’interrogativo sulle prospettive future del territorio. A quel punto il destino della valle poteva reincamminarsi verso un’economia di valorizzazione delle produzioni agro-silvo-pastorali tipiche (ma a quei tempi ciò era culturalmente considerato un regresso), oppure verso la trasformazione in anonimo corridoio di transito: l’idea progettuale di attraversare la valle con un’autostrada verso la Francia era già all’ordine del giorno.
L’alta valle delle stazioni sciistiche (dove impazzava quel boom edilizio delle seconde case che porterà allo scioglimento del Comune di Bardonecchia per infiltrazione mafiosa) vede con favore la nuova infrastruttura che “l’avvicina” alle grandi città del nord Italia ed alla stessa Francia; la bassa valle sa che ne ricaverà solo inquinamento dei TIR, scempio del paesaggio ed esproprio di fertili terreni pianeggianti che scarseggiano. Nella battaglia contro l’A32 prende corpo la coscienza ambientalista, che va ad arricchire di valori i cittadini attivi, di sinistra o cattolici; anche molti sindaci si oppongono, ma alla fine la resistenza della bassa valle sarà sconfitta ed avrà il danno temuto più la beffa di compensazioni promesse e non mantenute, di ripristini ambientali mai realizzati. Il “mediatore” che convinse uno ad uno i sindaci con le sue promesse era un architetto con in tasca la tessera del PCI, un certo Mario Virano che poi diventerà amministratore delegato della Sitaf, società di gestione dell’arteria.

Il movimento NO-TAV: un parto spontaneo

Tutti gli affluenti di partecipazione che hanno percorso la società civile attiva in valle convergeranno a dare linfa all’embrione NO-TAV; la lunga lotta degli anni 80 contro l’autostrada, la sconfitta e le beffe lasciano in eredità molti insegnamenti, alla popolazione ed agli amministratori locali. Quando, nel 1989, viene lanciata l’idea di una nuova ferrovia ad alta velocità lungo il solito corridoio i primi NO-TAV sono già in piedi: tra loro molti di coloro che ancora oggi, dopo 22 anni, sono tra i protagonisti più noti del movimento.
Il Comitato Habitat è la prima forma di auto-organizzazione su questa tematica. Il suo merito è di aver saputo dare il via ad una aggregazione di cittadini, amministratori locali e tecnici di varie discipline contro i progetti dell’opera: è questa “trinità” che rappresenta il carattere originale del nascente movimento, in confronto a molti altri.
Nessuna struttura gerarchica, nessuna delega alla politica, ma trasversalità, partecipazione dal basso ed inclusione: sono questi gli ingredienti istintivamente portati ad amalgama. Massima diffusione delle conoscenze sui progetti, i rischi, i costi locali e generali: la popolazione deve essere pienamente consapevole e decidere il proprio futuro. Una specie di scuola serale, anno dopo anno, informa e forma; spiega i retroscena ed aggiorna senza mai smettere: la popolazione risponde e l’aggregazione cresce nel tempo. Non ci sono altri segreti.

Oltre i confini della valle, oltre la tematica TAV

Dopo infinite proposte di tracciato, il primo vero progetto della linea (2002-2003) descrive, esso stesso, un impatto fortissimo sulle risorse ambientali (acqua) e la salute dei viventi (amianto, uranio, polveri e gas). Il movimento costruisce i primi presidi sul territorio, punti di vigilanza e di incontro; da allora in poi saranno un’altra chiave di volta dell’aggregazione, questa volta anche di molte realtà esterne alla Valsusa.
Nel 2005 le vicende di Venaus, la prima militarizzazione dei luoghi, la notte dei manganelli, la riconquista dei terreni occupati portano il movimento NO-TAV alla ribalta nazionale. Nasce la rete del Patto di Mutuo Soccorso con tantissime realtà italiane impegnate nella difesa dei territori e dei beni comuni: un’eccezionalescambio di esperienze, di energie e di affetto. L’esperienza valsusina è vista da molti come un esempio da imitare, la dimostrazione che resistere è possibile, una speranza per tutti.
La scuola permanente di formazione si arricchisce di molte nuove materie, che diventa necessario conoscere dopo aver toccato con mano che il TAV non è solo un’infrastruttura, ma un paradigma di sviluppo neoliberista con implicazioni su più piani, dalla finanza globale all’economia locale, alla qualità di vita spicciola, alla stessa democrazia: tutti contesti già entrati in un percorso di deriva. E allora si studia e sperimenta di economie alternative, di energie rinnovabili, di democrazia partecipata e di decrescita. Dall’Italia e dall’estero nuovi docenti, intellettuali, ricercatori si avvicinano al movimento e portano il loro contributo di conoscenze ed analisi; quasi sempre rimangono affascinati e tornano ancora oggi. Si chiama sempre movimento NO-TAV, ma ormai è qualcosa di più.
Arrivano da più parti visitatori, singoli o in gruppo, che restano subito contagiati dalla natura autenticamente popolare ed inclusiva di questa originale socialità. Qualcuno viene con la pretesa di dare una sua ricetta vincente sul piano dell’organizzazione o delle forme di lotta; qualcuno vuole usare il movimento per i suoi scopi, spostarlo sul proprio terreno: nessuno viene respinto, ma qualsiasi sia la dose di carisma espresso lo si fa sentire alla pari di tutti gli altri. Molti capiscono che nessuna ricetta verrà presa in blocco, che si esige rispetto; chi è animato da disponibilità genuina allo scambio sviluppa un legame autenticamente affettivo e finisce per comportarsi, in valle, secondo le decisioni del movimento, chi è incapace di affetto e vuole imporre i propri metodi forse riesce a farlo qualche volta, ma poi se ne va.
Intanto, dal 2006 in poi, è andato in scena un finto dialogo tra le istituzioni e la Valle, alla fine aperto solo a chi è favorevole all’infrastruttura: carte truccate, confusione voluta sui costi, illusionismo mediatico. Non stupisce: il commissario governativo alla Torino-Lione, confermato dai governi di diverso colore è di nuovo Mario Virano. Il progetto cambia sì tracciato, ma le implicazioni sui vari piani non mutano granché ed i presupposti della lotta di opposizione sono gli stessi anche oggi. I sindaci (23 su 43), rappresentativi dei loro elettori, continuano con coerenza la loro battaglia di dignità, nonostante manovre politiche degne di un neo- maccartismo che tendono a metterli fuori gioco.

Dove si andrà a parare

E chi lo sa? Costruiamo insieme una prospettiva. Negli anni 2000 molto è peggiorato per il 99% della popolazione nel nostro Paese e non solo: minor giustizia sociale, nessuna prospettiva di lavoro vero, crisi del debito pubblico, scadimento culturale imposto, militarizzazione delle menti, progressiva sottrazione di diritti e democrazia… I poteri forti delle banche si sono fatti oligarchia di governo, i partiti erano già diventati esclusive macchine di potere e ora queste paiono inceppate, inservibili, da rottamare. I correttivi anticrisi a livello nazionale e continentale in realtà confermano sostanzialmente i meccanismi che l’hanno prodotta, si genera altro debito pubblico a vantaggio solo dell’immediato tornaconto privato dell’1% sempre più ricco.
In un panorama in cui vari paesi europei tra cui il nostro possono essere considerati a rischio dittatura, come profetizzare l’evoluzione della vicenda? Il merito non potrà certo prescindere dal contesto, ma è ben arduo prevedere la reciproca influenza. Tutta la casta (e le cosche) sono per realizzare comunque l’opera; quello che viene messo in campo dal potere formale è l’affidamento all’esercito della garanzia di costruzione e il movimento di opposizione dichiara di non voler cedere (e non cederà).
Questo non significa che ci sarà “un’ora x” per la resa dei conti, muro contro muro, per decidere se si fa o non si fa il TAV in val di Susa; piuttosto l’opposizione mira a durare negli anni, anche altri 20, opponendo muri di gomma, riposizionandosi ed imparando a muoversi con resilienza in spazi di democrazia ed agibilità anche progressivamente più stretti. Questo significa “la Valle resiste e non si arrende”. Poi, certo, molto dipenderà anche da come la generalità degli Italiani reagirà ad una crisi economica, morale e democratica che sulla pelle nei fatti si fa sempre più pesante, nonostante il teatrino dello spread.

Vedi anche Notavtorino.org

Bisogno di eroi, inevitabili errori

marzo 10, 2012 § Lascia un commento

Non ho mai avuto occasione di contarmi tra coloro che sbandierano la loro insofferenza verso il piccolo schermo, tra quelli che la televisione non la guardano perché è un ritornello che fa figo e non impegna, come se a non guardarla fossi automaticamente furbo e soprattutto automaticamente esente dall’ipotetico dovere di esprimere un giudizio critico.
Ultimamente però mi è capitato di guardarla davvero di rado la televisione, perdendo il contatto con un certo modo di intendere l’intrattenimento e soprattutto l’informazione. Così domenica sera, con la zuppa parentale calda nel piatto nonostante si avvicini inesorabile la primavera, ho percepito un forte senso di scollamento rispetto ai modi e soprattutto ai toni di quello che una volta costituiva la mia fonte primaria di informazioni: il telegiornale.
Il signor carabiniere in pensione di Napoli, sulla sessantina, dopo aver sentito gli spari era accorso salvando l’uomo che stava attentando alla propria vita. In congedo o in pensione che fosse, non ricordo, il carabiniere, presentato in una luminosa inquadratura a mezzo busto, aveva salvato il suicida dopo che questo aveva ucciso l’ex moglie e uno dei suoi figli di fronte agli altri tre.
Così, nonostante la domenica, mentre raccolgo la minestra vicino al bordo del piatto come mi ha insegnato mio nonno, lo schermo piatto della cucina mi da di che pensare.
Il telegiornale delle venti, che fosse raidue ha poca importanza, tradisce se stesso, tutti noi, e l’immenso bisogno di eroi che percepiamo in questo momento di completa destabilizzazione delle nostre esistenze, delle nostre coscienze.
La domenica sicuramente non offre grossi spunti per la canonica mezz’ora di telegiornale, a maggior ragione quando il goal respinto oltre la linea di porta l’hanno dato buono e non ti può aiutare nemmeno il moviolone nell’impresa di diluire pochi fatti in quei trenta ineludibili minuti. L’eroico gesto del suddetto carabiniere finisce dunque tra le prime notizie della trasmissione, in un servizio prolisso dai toni incredibilmente enfatici (ma se avesse salvato anche la donna e il ragazzo di cosa staremmo parlando?).
Non penso basti la domenica a giustificare il risalto conferito a questa vicenda, a questo personaggio che va ad aggiungersi alla lunga lista di “eroi per un giorno” di cui negli ultimi giorni ha avuto l’onore di far parte anche il carabiniere definito “pecorella” dal coetaneo NoTav che aveva di fronte.
Con il tramonto degli idoli pagani e l’avvento dei tecnici ci siamo sentiti privati di quella componente epica (ma forse solo umana) che il governo Berlusconi e l’opposizione a quest’ultimo portava con se, persi dunque alla ricerca di una nuova incarnazione delle nostre emozioni più basse, costrette dalla freddezza di Monti.
Così il quotidiano Libero si chiedeva se la pecorella non avrebbe fatto meglio a fracassare la testa del manifestante NoTav mentre l’opinione pubblica tutta ammirava la fermezza del carabiniere che non aveva reagito alle provocazioni. Così quello che dovrebbe essere il comportamento consueto della forza pubblica si trasforma in atto di eroismo e, per una banalissima quanto immediata traslazione verso il basso dei canoni di giudizio del sentire comune, gli atti di violenza commessi dalle forze dell’ordine in questi mesi in Val di Susa diventano ordinaria amministrazione, quello che in fondo ci si aspetta di fronte a manifestazioni di dissenso popolare colpevolmente dipinte come attentato alla democrazia.
Rimanendo lontani dalle semplificazioni stile ACAB e provando invece a riportare il nostro giudizio ad una valutazione più obiettiva degli eventi potremmo ringraziare entrambi i carabinieri in questione per la loro retta condotta, mettere da parte i toni ed i modi delle imprese eroiche e rimettere fortemente in discussione l’operato della forza pubblica di fronte alla questione, tuttora aperta, del progetto Alta Velocità.
Girlson Film

Il movimento NoTav, i teoremi e la politica che crede ancora in Dio

marzo 4, 2012 § 3 commenti

Questo articolo parla di NoTav e di letteratura. Della convinzione che gli “eventi-NoTav” delle ultime settimane si possano comprendere di più attraverso la letteratura. Nulla di più odioso, a prima vista: non ho vissuto i fatti in prima persona, sono in università e ho speso tutta la mattina a scrivere questo articolo. Sulla letteratura. Eppure credo ancora in lei e poiché la mia esperienza di queste settimane è avvenuta solo a distanza, vorrei comunque cercare di dare il mio contributo.

Due fatti: gli arresti emessi dalla Procura di Torino a fine gennaio in seguito agli scontri  di quest’estate; gli sgomberi iniziati in Valle l’ultimo lunedì di febbraio. Mi chiedo: esiste una connessione fra i due eventi? É verosimile che esista: ventisei militanti NoTav (fra cui alcuni leader di una certa rilevanza) vengono arrestati ed esclusi dall’azione politica. Le ordinanze sono scattate tre settimane prima degli sgomberi, tre settimane prima della resistenza e degli scontri di questi giorni. Mentre i blocchi vengono forzati dalla polizia, il movimento conta fra le sue fila ventisei militanti in meno: il disegno è lineare, fin semplice nei suoi tratti.
Perino, uno dei portavoce più influenti del movimento, non componeva ragionamenti molto diversi all’indomani delle ordinanze cautelari: “è una cosa preordinata”, comunicava ai giornali, “un segnale chiarissimo a tutti quelli che stanno cercando di alzare la testa in Italia e che prendono il movimento NoTav come esempio: vogliono dire a camionisti, pescatori, e così via di stare tranquilli altrimenti si finisce tutti in galera. Si vuole criminalizzare il movimento.” Una cosa preordinata, un disegno: qualcuno – lo Stato, i poteri forti – ha causato gli arresti per ottenere un fine determinato: indebolire il movimento. Caselli, allora, è un esecutore del disegno, o teorema giudiziario.
Tutto era stato già scritto – e non lo afferma solo Perino. I giornali autorevoli e le istituzioni hanno proposto un’analisi del passato ritornante: “state attenti”, dicono, “che nel movimento si sta infiltrando l’antagonismo e vi ricordate cosa significa, vi ricordate gli anni Settanta? Il piombo, il piombo!” Il presente si legge come una scrittura del passato, un disegno finalistico dove tutto si tiene. E anche le scritte sui muri di Via Po è come se fossero già scritte: il linguaggio non sembra cambiare di molto dalle parole di un tempo. É allora perfettamente verosimile che lo Stato abbia applicato il suo teorema (il teorema giudiziario) e che lo abbia applicato perché il movimento è ormai pronto ad avviare il suo Settantasette. Tutti scrivono – sui giornali, sui muri – e le loro scritture sono in fondo lineari, credibili. Preordinate, direbbe Perino.
Il teorema – come ogni teoria del complotto – mi ricorda la Provvidenza di Manzoni, il Disegno di Dio. (Ecco la letteratura che avevo annunciato.) Tutto è scritto nelle stelle, tutto segue il suo corso. Tutto è perfettamente verosimile e comprensibile perché è stato già scritto. Il Grande Vecchio si sostituisce a Dio, ma da un punto di vista narrativo le carte in tavola non cambiano di molto: i paradigmi di interpretazione della politica e del giornalismo sono manzoniani e provvidenziali – e c’era da aspettarselo alla luce della cultura letteraria insegnata a scuola e dal nostro intrinseco cattolicesimo.
Ma Manzoni è morto, e dopo lui altri son venuti. La letteratura è cambiata e ha pensato e scritto diversamente: senza Provvidenza e senza fatti preordinati. Propongo di trascinare quest’altra letteratura nel contesto attuale  – i nostri “eventi-NoTav” – con la speranza di dischiudere riflessioni e interpretazioni più convincenti dell’esistente, e più rivoluzionarie.
Dopo Manzoni, i fatti non stanno più insieme e il mondo è un’accozzaglia i cui eventi sono spesso privi di spiegazione. Viene a mancare il grande paradigma che teneva assieme il senso del mondo: Dio – o il complotto. I fatti non si connettono armoniosamente uno all’altro, ma si disperdono, ed è estremamente faticoso recuperare dei fili sottili nel guazzabuglio. La realtà si riduce a una serie di eventi discontinui, una complessità di cause il cui motore è spesso aleatorio.
Ribalto allora quanto affermato finora dai protagonisti di queste settimane. Caselli non ha agito secondo un teorema, come vorrebbe Perino. Il movimento non è una riproposizione degli anni di piombo, come desidererebbero certi giornalisti e tutori dell’ordine. Non esiste una connessione diretta e lineare fra gli arresti di Caselli e la repressione di questi giorni durante gli sgomberi valligiani. Poste queste prime ipotesi sperimentali, si possono tentare le prime congetture, le prime riflessioni.
La Procura di Torino ha ricevuto gli incartamenti dalla polizia e ha lavorato seguendo un normale iter legale, senza infrangere in modo evidente lo stato di diritto democratico. Questa riflessione ne può aprire un’altra: cosa si intende per legalità? Un insieme di scritture determinate da un codice? O un insieme di regole che di volta in volta si incarnano nella contingenza, nei corpi che si muovono e agiscono negli spazi? E, ancora, che rapporto c’è fra la legalità e l’azione politica di movimento? Come si deve porre il movimento nei confronti delle leggi? Credo siano domande molto più interessanti, che non potrebbero essere poste se si definisse l’azione di Caselli uno strumento in mano a uno stato repressivo, quindi intrinsecamente fascista. L’attuale contesto è molto più intricato e solo i Wu Ming possono ancora credere che il mondo si divida linearmente fra buoni e cattivi (loro sì, sono manzoniani, ma forse non lo sanno).
Anche in questo anfratto del pensiero, la letteratura, in quanto scrittura agita, può tornare utile. Non riconoscere le leggi come una scrittura assoluta e preordinata, ma come un complesso di regole da porre sempre in discussione, da modificare e da riscrivere creativamente potrebbe essere una via interessante per un movimento che voglia interrogarsi sul rapporto fra azione politica e diritto. In fondo sono riflessioni non del tutto mie, e traggono spunto da un’altra scrittura originata nell’area del pensiero antagonista – una scrittura molto più interessante delle scritture stantie sui muri di Via Po. (Qui il link).
Questo filo di pensieri nato da Caselli e confluito nel dibattito su violenza, legge e giustizia può essere uno dei tanti percorsi in cui insinuarsi nel momento in cui venga disconnesso il Disegno. Un altro territorio interessante potrebbe essere quello del movimento NoTav stesso: senza il paradigma-anni-Settanta, come si può comprendere quanto sta accadendo in valle? La Stampa e La Repubblica avrebbero i loro problemi di scrittura e di interpretazione.
Vorrei che si torcesse il collo alla retorica e ci si liberasse delle frasi fatte e delle letture preconfezionate (“Manganelli lo aveva detto – lo aveva scritto – che ci sarebbe scappato il morto!”). Vorrei vedere la fine di uno spettacolo in cui a una lettura stupida – Manganelli su tutti – si risponda con altrettante interpretazioni stupide. La fine delle sceneggiature verosimili, che, gira e rigira, finiscono costantemente per avvantaggiare chi esiste già e mai chi non esiste ancora, o chi potrebbe esistere.
I fatti spesso non si legano mai bene assieme e, se qualche volta si incontrano, dietro di loro si nasconde un’infinità di cause complessa e variegata. E poi ci sono i fatti apparentemente insignificanti, inutili e casuali che possono dischiudere deboli connessioni di senso, ma impreviste: la vita di un ragazzo in carcere, i movimenti della polizia fra le due e le tre del pomeriggio, gli sguardi di un valligiano rivolti al suolo e le pause nei monologhi di un anarchico (ma era anarchico?) che catechizza uno sbirro.
Fatterelli assurdi, lo so. Ma è inevitabile che sia così: non posso ora cogliere il pulviscolo di fatterelli da cui avviare altre riflessioni, meno assurde. Io sono qui, in università, leggo le notizie dell’ultim’ora e sullo schermo del computer mi arrivano solo le sceneggiature – e i disegni della Provvidenza.

François Milieu

ACAB (2011) – Sinossi del film

febbraio 1, 2012 § 1 Commento

Acab è un piccolo capolavoro del cinema italiano. Torinese, autoprodotto, fresco fresco di uscita. Si tratta di una favola metropolitana che immortala il percorso di formazione di Pino, giovane valsusino, ricostruendo gli ultimi atti di antagonismo che hanno scombussolato la nostra cara urbe. Riportiamo qui la recensione pubblicata sul “Venerdì di Repubblica” (30/1/12), che apprezziamo per la sua neutralità. Per esigenze di stringatezza l’abbiamo ridotta, attinendoci al modello di sinossi wikipediano.

Pino, studente sbarbatello, si dirige a scuola con un amico, quando i due vengono fermati da un poliziotto rasato con un Uzi che chiede loro i documenti. Pino mostra la sua carta mentre l’altro, non trovando la propria, tenta di scappare. Il poliziotto s’incazza e lo pesta, ma non riesce ad immobilizzarlo del tutto, finendo per lasciarselo scappare. Dopo un breve ma inutile inseguimento, lo sbirro acchiappa un gatto di passaggio: lo apre in due per berne il sangue e si tinge di rosso una svastica sulla testa. Booom! Titolo di apertura: “ACAB”. Sullo sfondo una serie di scene di pestaggi ad opera della polizia sui manifestanti locali. Nel mezzo anche alcune scene tratte dal film 1984 basato sul famoso libro di Orwell.

Dissolvenza. Scena a luci basse ambientata nelle sedi della polizia.

Siedono a un tavolo, rispettivamente, un inquietante generale con un bottone al posto di un occhio dall’accento fortemente tedesco, il maiale Napoleone, Rasputin, Jafar ed il Commisario Basettoni. I cinque cattivoni cantano vecchie e gloriose canzoni fasciste, mentre giocano a freccette con una foto di Mahatma Ghandi. Entra un marine, trascinando un bambino addormentato, completamente nudo. Jafar lo scuoia vivo invocando la potenza del Sistema. Un lampo di luce ed il bambino scompare. Nel frattempo Pino, all’esterno dell’edificio in una manifestazione NOTAV, sviene. In un mondo indistinto, fatto di corpi senza volti, gli appare l’immagine di Carlo Giuliani, vestito di bianco e con un bellissimo paio di ali. Carlo gli intima di seguire l’uovo bianco. Pino si alza e prende un uovo dalla cesta delle uove lanciabili e la lancia verso la finestra. L’uovo finisce in mezzo alla sede della polizia ed esplode, distruggendo tutto l’edificio. La profezia è avverata. I NOTAV hanno vinto. L’ASKA ha vinto. I SI all’esterno si piangono addosso per l’abuso di violenza. Tra la folla, il direttore dell’Ode esamina il tutto affascinato sotto effetto di DMT.

Si scopre così che Pino è l’Eletto, e viene ribattezzato Jaco-pino. La gente ricomincia a credere nella lotta al Sistema, e tutti confidano nelle potenzialità di Jac. Il giorno dopo, mentre Pino è all’università per seguire un corso, un poliziotto gli spara nei bagni e lo rapisce.
Il film si chiude con l’immagine di Jacopino col pugno alzato. Acab II: Reloaded saprà raccontarci il resto.

Acab (2011) – Scheda Tecnica

REGIA: Antonio Negri & Michael Hardt
SCENEGGIATURA: Lorenzo Cesarano, Barbara Petronio, Leonardo Marsili
ATTORI: Pierfrancesco Favino, Marco Giallini, Antonio Negri, Domenico Diele, Andrea Sartoretti, Roberta Spagnuolo, Eugenio Mastrandrea, Eradis Josende Oberto
Ruoli ed Interpreti

FOTOGRAFIA: Paolo Carnera
MONTAGGIO: Patrizio Marone
PRODUZIONE: Mamma e Papà
PAESE: Italia 2012
GENERE: Drammatico
DURATA: 112 Min
FORMATO: Colore

La notte buia dei NoTav: 26 arresti

gennaio 26, 2012 § 2 commenti

Raffica di arresti tra attivisti NoTav

(di Ivan Crivellaro)

Nella mattinata la polizia ha arrestato circa una quarantina di attivisti NoTav, in riferimento agli scontri avvenuti durante la manifestazione in val Susa del 3 luglio 2011. L’operazione è avvenuta in varie province italiane, oltre che in alcuni comuni della valle Susa, e anche in territorio francese.
Ad ora si ha notizia di 26 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 1 persona ai domiciliari e 15 obblighi di dimora. I reati contestati sono resistenza, violenza, lesioni, danneggiamento aggravati in concorso.
Questa operazione è l’ennesima prova di forza delle autorità contro chi si oppone alla realizzazione di un opera inutile e dannosa per il territorio, che richiede enormi spese che vengono tolte al diritto allo studio, sanità, lavoro, etc..
Alcune delle ragioni di chi protesta contro il TAV sono le seguenti.
Dal punto di vista economico, il TAV viene sempre difeso come “opera necessaria per l’Italia per il suo sviluppo economico”, in realtà la val Susa dispone già di una rete ferroviaria utilizzata ben al di sotto della sua capacità. Un altro dato che smentisce questo concetto è che con la apertura del traforo del San Gottardo in Svizzera, buona parte del traffico merci lo utilizzerà, rendendo di fatto inutile la costruzione del TAV. Ma soprattutto ha senso realizzare, nella situazione di crisi attuale, un opera che costerà all’Italia almeno 40 miliardi di euro, circa 5000 euro al cm?
Sempre da questo punto di vista si devono aggiungere le spese dell’enorme schieramento di forze dell’ordine presente ogni giorno in val Susa, si è stimata una cifra di circa 90000 euro al giorno.
Si tenga anche conto che dal punto di vista ambientale la Val Susa è già fortemente antropizzata (al momento attuale sono presenti una autostrada, una ferrovia e due importanti strade statali), la costruzione di un opera come il TAV prevede la realizzazione di un tunnel di base lungo oltre 50km. Ciò comporterà un spostamento enorme di materiale di scarto e modificherà il già precario habitat naturale della valle e anche a molti disagi per i residenti della valle (il tempo stimato di costruzione dell’opera supera i 15 anni).
Alle 14.30 è prevista una conferenza stampa, mentre stasera ci sarà una fiaccolata in solidarietà con gli arrestati alle ore 20.30 davanti alla stazione di Bussoleno.
Per sabato 28 gennaio invece è confermato il presidio in piazza Carlo Felice a Torino.

www.notav.eu/article5859.html

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