Benning – Twenty Cigarettes (TFF29)

novembre 30, 2011 § Lascia un commento

Mi siedo, sono comodo sulla mia poltrona di velluto blu, non sono allo Slow Club ma quasi, mi preparo scambiando qualche battuta arguta con i miei vicini, guardo la sala per farmi una mappatura mentale, signore calvo, donna grassa, ragazza piacente, persone che non voglio salutare, maschere, mica male le maschere di questo cinema, guardo più volte il telefono più per vizio che per vezzo, ecco le luci si abbassano, questo sarà il mio film rivelazione quest’anno, alla faccia di Francis, con un titolo e un cappello così come può non esserlo, ultimo saluto con la coda dell’occhio alla maschera, mangio delle noccioline portate da casa, silenzio nella mia testa.

primasigaretta
ok, potrebbe essere geniale come non esserlo, dai dai dai che Benning ti stupirà, dai dai dai mi muovo dalla sedia cercando una nuova posizione comoda, chissà se dopo riuscirò a cenare,

secondasigaretta
ok uguale alla prima, ok smorfie, linguaggio del corpo, ok citazioni colte, ok chi non ama Andy, ok i più deboli iniziano ad uscire, ok,

terzasigaretta
trovo più emozionante fissare l’omino dell’uscita di sicurezza che fissare lo schermo, le battute argute non sono nemmeno più sussurrate,

quartasigaretta
la metà dei partecipanti escono, alcuni vanno in bagno, rifare l’ avanguardia è essere conservatori, basta trito e ritrito, non è sperimentalismo è un pavoneggiamento inutile ammantato da qualche studio sul linguaggio del corpo,

quintasigaretta
vanità dlle vanità tutto è vanità, tre quarti delle persone sono uscite, ancora una sigaretta, diamogli l’ultima sigaretta

sestasigaretta
ok alla sigaretta, noia noia, la gente si tiene la sedia stretta, magari potrei dormire per non uscire,

settimasigaretta
sono deciso, esco, usciamo in tanti, anche le maschere ridono, ora uscendo fumerò o non fumerò

ottavasigaretta
venti persone ancora in sala, dieci guardano, due amoreggiano, una si gira una sigaretta, tre rispondono al cellulare, quattro dormono. Credo che mi farò raccontare il seguito.
 

Durata totale novanta minuti
durata personale venti minuti
una sigaretta fumata all’uscita
10  persone disperate trovate nei bagni il giorno dopo
 

Benning, caro ragazzo hai studiato bene,
ma non è abbastanza, non lo è affatto
applicati di più la prossima volta.

Ken Jacobs (TFF 2010)

novembre 25, 2011 § Lascia un commento

Ken Jakobs è fra gli artisti più amati (dagli organizzatori) ed odiati (dal pubblico) della sezione Onde del TFF; come ogni anno è presente al festival con le sue architetture stroboscopiche. Per chi non fosse mai stato “esposto” ai raggi luminosi di una delle sue pellicole, andrà detto che per la maggior parte si tratta di lavori di editing sperimentale su nastri antichi, come quelli delle lanterne magiche o dei primi esperimenti cinematografici di Edison e dei Lumière.
Il regista frammenta, seziona e ricompone a suo piacimento le pellicole. Si destreggia in un’inquisizione dei singoli fotogrammi, animandone solo alcune porzioni, zoomandoli, alternandoli a piacimento. Li capovolge, li fa ruotare, li distorce; il tutto interpolando fotogrammi neri per ottenere un effetto stroboscopico. Quello di Jakobs è metacinema, la sua mimesi di secondo grado: non ritrae la realtà, ma una copia cinematografica della realtà (la pellicola antica), transustanziandola. Ciò che produce, è un eidolon, una copia di copia; è trasformazione di rappresentazione, metafora di metafora, specchio di specchio. Le sue opere non sussistono di per sé; sono parassitarie, esistono solo come re-interpretazione di unʼopera precedente, sancendo in misura paradigmatica la loro natura postmoderna. Oltre a presentarsi come rappresentazione di secondo grado, il lavoro di Jakobs colpisce per il tentativo di realizzare un cinema fisico piuttosto che psicologico. La pellicola agisce direttamente sui nostri organi di senso, mettendo a dura prova il nostro apparato percettivo attraverso distorsioni, loop, ralenty ed effetti strobo. Ci regala così un’esperienza ipnotica, che procede oltre l’immagine cinematografica conducendo lo spettatore dentro lʼuniverso del fotogramma, fino alle forme astratte e sfocate dei particolari. In questo vortice allucinatorio si perde sempre di più il contatto con i
fotogrammi originalmente editati e si viene catapultati in una rappresentazione “altra”, espressionista ed astratta. L’occhio allucinato dagli effetti stroboscopici inizia a scorgere nuove figure, delinea contorni, elabora nuovi sensi, inventa da sè nuove figure. La proiezione è capovolta: lo spettatore crea l’immagine, si fa telecamera; il regista, spettatore. Epocale; copernicano; benché, secondo lʼimpressione di molti, inguardabile.

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