Copisterie e diritto d’autore

aprile 22, 2013 § Lascia un commento

Il caleidofono

DSC_0095Il 28 febbraio 2013 l’agenzia di stampa ANSA titola: “Blitz vigili urbani in copisterie Torino. Nell’ambito di una inchiesta sul rispetto dei diritti d’autore” e prosegue: “Blitz della polizia municipale con perquisizioni e sequestri nelle copisterie di Torino: l’ambito è quello di un’indagine della procura sul rispetto dei diritti d’autore. I negozi interessati, secondo quanto si è appreso in ambienti vicini a Palazzo di Giustizia, sarebbero una trentina, concentrati in prevalenza nella zona di Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche dell’Università. Il problema è legato alla fotocopiatura di interi volumi.”. Nei giorni successivi la stampa riporta la sprotesta degli universitari: “Gli studenti non possono farcela senza fotocopiare i libri: la spesa è troppo alta. Possibile che iniziative di questa severità arrivino proprio in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo?” (La Repubblica, 4 marzo 2013); si avverte l’esigenza di modificare la legge anche da parte delle copisterie: “Noi…

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Copisterie e diritto d’autore: le voci delle copisterie

aprile 22, 2013 § Lascia un commento

Il caleidofono

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Per capire cosa si sia davvero inceppato lo scorso giovedì 28 febbraio, quando, in seguito di un’indagine della Procura della Repubblica, i vigili urbani della città di Torino hanno perquisito e chiuso circa trenta copisterie in zona Palazzo Nuovo, è indispensabile rivolgersi ai diretti interessati; abbiamo quindi interpellato alcuni dei titolari delle copisterie più vicine alla sede storica delle facoltà umanistiche, cercando di osservare la vicenda da un altro punto di vista.

Affrontare il discorso non è semplice, nessuno parla volentieri e si riscontra una generale diffidenza nei confronti di chi chiede informazioni. Alcuni sono però disposti a scambiare qualche parola e, tra loro, anche coloro che sono stati colpiti dalla sanzione penale. L’impressione riscontrata è quella di essere stati “gli unici ad aver pagato”. Le copisterie, di fatto, si trovano ad operare in un terreno scivoloso, dove si incrociano molteplici interessi e dove le regole sembrano fatte apposta per…

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gennaio 19, 2013 § Lascia un commento

Articolo 18: Tafazzi come il Che

aprile 8, 2012 § Lascia un commento

Di Golia Magro*

L’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è stato – di fatto – abolito. Prima che ciò avvenisse ad opera di strani tecno-robot di governo, a discapito di qualunque principio della robotica asimoviana, il reintegro nel posto di lavoro – garantito dall’articolo 18 – scattava laddove l’azienda non riuscisse a provare che il licenziamento fosse giustificato. Se questo non avveniva, o se l’argomentazione non era sufficientemente efficace, o se le carte provavano un’altra storia, il padrone doveva riassumere il lavoratore.

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Adesso, invece, il reintegro scatta solo se il licenziamento è “manifestatamente” ingiustificato. Oppure se è discriminatorio. In pratica, ti posso discriminare – ma devo assolutamente dire che il fatto che sei comunista, o nero o donna, non ha influito per nulla sul tuo licenziamento: il fatto è che sei rimasto intrappolato in teleologiche strategie aziendali.  Vediamo più nel dettaglio come funziona.

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Se sei negro non ti posso licenziare in quanto negro. Ma se ti voglio licenziare comunque, perché io sono leghista e tu sei negro e non ti voglio pagare i contributi che rubi ai miei figli; o perché tu sei donna e mi hai tirato uno schiaffo perché t’ho palpato le chiappe mentre eri in catena (e che sarà mai!); bhè, negro di merda o femminista del cazzo, lo posso fare comunque.

Mi basta licenziarti. Poi tu scegli se fare ricorso o no – nel qual caso rischi di perderti pure la liquidazione. Ma se per caso sei uno di quei comunisti del cazzo, sempre a parlare parlare senza mai far nulla, e fai ricorso al giudice… Spetterà a me l’onere della prova.

Significa che la storia del tuo licenziamento la racconto io. E dirò al giudice che il tuo licenziamento è per motivi economici, e gli sparerò una serie di numeri e dati inventati o falsati, dipingendo la tua cacciata come una moderna, innovativa ristrutturazione di governance. Lo so… è una bugia. Ma vedi, il giudice non potrà dirmelo. Lo sancisce la legge. Il giudice potrà solo verificare la “manifesta insussistenza” della giusta causa. Questa è la condizione scritta nella legge per il reintegro. Ma qui di “manifesto” non c’è un cazzo. E’ tutto motivato, tutto scritto, ci sono le cifre. E se prima quelle toghe rosse potevano venirmi a fare le pulci sul fatto che licenziare un negro a caso non aveva niente a che vedere con la ristrutturazione aziendale, adesso non possono mica dire nulla. Ci sono le tabelle. C’è tutto. La giusta causa, la racconto io. La giusta causa, è la mia. Ed è l’unica valida per la Legge. E la Legge, negretto di merda, è lo Stato. E lo Stato, puttanella comunista, è più forte di Dio, dei Power Rangers e persino della Merkel.

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Giovane italiano di 22 anni, studente di materie umanistiche, mediamente interessato alla cultura e alla politica del suo tempo. E’ l’identikit della depressione post-ideologica. Una volta ho visto una puntata di Ballarò su questo target. Protagonista di un servizio bello lungo era una giovane studentessa laureata in Lettere (ovvio!) a Roma col massimo dei voti (altrettanto ovvio!), disoccupata (ovvio!), nullafacente (ovvio!), rifiutata nei colloqui di lavoro (ovvio!) nonostante le sue grandi doti intellettuali (ovvio!). La frase neorealista del servizio era: “mi sveglio tutti i giorni a mezzogiorno e cerco lavoro su inernet”. Ecco, la nostra generazione c’ha questa immagine in testa. Siamo già depressi. Siamo disillusi, convinti che nulla ci possa – ormai – scalfire.

E invece… vedi che questo grande paese ti riserva sempre una sorpresa? Che la frontiera della tristezza è sempre un po’ più in là di quanto pensi?

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Funziona così.

Ti svegli un giorno di febbraio e scopri che qualcuno che parla come un robot vuole cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Una tizia piena di rughe, della tua città, stronza come pochi, con quella litania vocale da serial killer da film di Dario Argento, sostiene che non ci sono cazzi: lo cancellano davvero. Perché? “Perché è giusto così, che domande!”

Ti svegli un giorno di marzo e senti che quel tipo con l’accento da gnocco fritto e il toscanello nelle labbra (perché l’immagine è tutto; in mancanza di cervello / meglio un toscanello) promette dura opposizione, che no pasaràn, che possiamo stare tranquilli. Anche l’altra, quella bassa e brutta che fa la sindacalista, ammonisce dure iniziative popolari. Eddaje, Susà! Daje! Famo casino!

Poi ti svegli un giorno d’aprile, in dopo sbronza, sei incazzato con te stesso ché stai male dalla sera prima, accendi il pc, ti fai un caffè e rolli una sigaretta. Non stai bene, fisicamente; moralmente aspetti i prossimi dieci minuti di news fitte fitte che bisogna valutare bene il proprio umore a seconda dei giorni (non si deve essere tristi senza motivo). Click – repubblica.it – click – ilmanifesto.it – click – corriere.it. Adesso sei sveglio. E scopri che alla fine l’articolo 18 lo eliminano davvero.

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La mia prima manifestazione nazionale a Roma fu contro l’eliminazione dell’Articolo 18. Era quella grande, con milioni di persone, che manco si passava al Circo Massimo. Marzo 2002. C’era Cofferati, che poi divenne uno un po’ stronzo, ma che mio zio ex-Lotta Comunista definiva il “leoncino”. E se lo diceva mio zio, ch’era mezzo bombarolo, vuol dire che era un tipo a posto. Avevo 11 anni. Che svacco quel treno! Ma quanta gente. Alla fine l’avevamo pure spuntata. Mi ricordo di amici e compagni, militanti di vario tipo, che mi dicevano: “la CGIL s’è bruciata tutti i soldi che aveva per fare sta manifestazione, coi treni, con gli autobus…” c’erano pure i panini e le cioccolate e le acque minerali.

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Lo eliminano. E già sei arrabbiato.

Poi leggi meglio, e scopri che il tizio col sigaro dello gnocco fritto è contento, perché l’hanno spuntata loro, quelli che… il riformismo. E’ contenta anche la tipa brutta e bassa con le sembianze da cocker. Perché alla fine c’è scritto, nero su bianco, “reintegro”!

A questo punto non sei più incazzato. Sei solo frastornato.

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Immagina che un enorme pugile tenti di stuprarti. Hai perso tutte le speranze di fuggire e salvarti dal destino infame e penetrante. Improvvisamente spunta un poliziotto. A quel punto, sollevato, chiedi aiuto; ma invece di salvarti, lo sbirro prende il manganello e passandolo con gusto al pugile dice: “sputaci sopra, che entra meglio”. E’ quell’emozione lì.

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Non è ancora finita. Continui a leggere, accendi la TV (cosa che non fai mai) e lasci RaiNews su per ore e ore; e succedono tre cose.

Prima di tutto, la donnina da chihuahua e cocaina che gestisce Confindustria dice che secondo loro questa riforma è una fregatura, che così non basta mica, ci vuole la frusta coi lavoratori sennò quelli si fanno strane idee.

Poi, il robot inaugura un progetto europeo a Pompei. E per rimanere nel tema “rovine della nostra civiltà”, non si lascia sfuggire un commento: è inutile che gli industriali e le donnine da chihuahua e cocaina protestino, perché tanto non si sono accorti che il reintegro è ormai un ricordo, non succederà mai, basta stare accorti coi giudici e pagare gli avvocati. Emma, dai, non fare le bizze!

E infine, il grande P. Ichino, giuslavorista e campione nazionale di strip-tease padronale, rilascia un’intervista a Il Sole 24 Ore:

“è la prima volta in quarant’anni che viene apportata una correzione in questo senso all’articolo 18. Certo, è un passo più piccolo di quello che sarebbe stato possibile, se tutte le forze politiche avessero cooperato per il passaggio del nostro mercato del lavoro dal vecchio modello arretrato, caratterizzato da un marcato dualismo fra protetti e non protetti, a un modello nuovo, più efficiente ed inclusivo”

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Forse esiste un punto della razionalità umana che, semplicemente, non può essere sorpassato per ragioni genetico-biologiche. Giunti ad una certa soglia, non esistono più parole, metafore o aneddoti in grado di esprimere ciò che si prova di fronte agli avvenimenti del mondo e ai comportamenti degli altri esseri umani.

Non c’è storiella divertente, battutina su Ichino e sui suoi orifizi, su Bersani e il suo cervello palesemente in fuga da anni, su Camusso e Marcegaglia o Monti o Fornero in grado di spezzare la tragicità degli eventi e rilanciare a speranza futura.

E’ lo zero comico. Il punto d’arrivo e d’arresto della satira. E’ Tafazzi. E’ lui il nostro unico e possibile eroe, di questi tempi. Avevano ragione Aldo, Giovanni e Giacomo.

Tafazzi è il nostro Che. Speriamo non lo uccidano in Bolivia.

*Golia Magro è ricercatore precario di Sociologia Economica all’Università degli Studi di Pordenone. Il suo ultimo libro è “Weber e le Diseguaglianze di Classe: uno studio comparativo”.

Bisogno di eroi, inevitabili errori

marzo 10, 2012 § Lascia un commento

Non ho mai avuto occasione di contarmi tra coloro che sbandierano la loro insofferenza verso il piccolo schermo, tra quelli che la televisione non la guardano perché è un ritornello che fa figo e non impegna, come se a non guardarla fossi automaticamente furbo e soprattutto automaticamente esente dall’ipotetico dovere di esprimere un giudizio critico.
Ultimamente però mi è capitato di guardarla davvero di rado la televisione, perdendo il contatto con un certo modo di intendere l’intrattenimento e soprattutto l’informazione. Così domenica sera, con la zuppa parentale calda nel piatto nonostante si avvicini inesorabile la primavera, ho percepito un forte senso di scollamento rispetto ai modi e soprattutto ai toni di quello che una volta costituiva la mia fonte primaria di informazioni: il telegiornale.
Il signor carabiniere in pensione di Napoli, sulla sessantina, dopo aver sentito gli spari era accorso salvando l’uomo che stava attentando alla propria vita. In congedo o in pensione che fosse, non ricordo, il carabiniere, presentato in una luminosa inquadratura a mezzo busto, aveva salvato il suicida dopo che questo aveva ucciso l’ex moglie e uno dei suoi figli di fronte agli altri tre.
Così, nonostante la domenica, mentre raccolgo la minestra vicino al bordo del piatto come mi ha insegnato mio nonno, lo schermo piatto della cucina mi da di che pensare.
Il telegiornale delle venti, che fosse raidue ha poca importanza, tradisce se stesso, tutti noi, e l’immenso bisogno di eroi che percepiamo in questo momento di completa destabilizzazione delle nostre esistenze, delle nostre coscienze.
La domenica sicuramente non offre grossi spunti per la canonica mezz’ora di telegiornale, a maggior ragione quando il goal respinto oltre la linea di porta l’hanno dato buono e non ti può aiutare nemmeno il moviolone nell’impresa di diluire pochi fatti in quei trenta ineludibili minuti. L’eroico gesto del suddetto carabiniere finisce dunque tra le prime notizie della trasmissione, in un servizio prolisso dai toni incredibilmente enfatici (ma se avesse salvato anche la donna e il ragazzo di cosa staremmo parlando?).
Non penso basti la domenica a giustificare il risalto conferito a questa vicenda, a questo personaggio che va ad aggiungersi alla lunga lista di “eroi per un giorno” di cui negli ultimi giorni ha avuto l’onore di far parte anche il carabiniere definito “pecorella” dal coetaneo NoTav che aveva di fronte.
Con il tramonto degli idoli pagani e l’avvento dei tecnici ci siamo sentiti privati di quella componente epica (ma forse solo umana) che il governo Berlusconi e l’opposizione a quest’ultimo portava con se, persi dunque alla ricerca di una nuova incarnazione delle nostre emozioni più basse, costrette dalla freddezza di Monti.
Così il quotidiano Libero si chiedeva se la pecorella non avrebbe fatto meglio a fracassare la testa del manifestante NoTav mentre l’opinione pubblica tutta ammirava la fermezza del carabiniere che non aveva reagito alle provocazioni. Così quello che dovrebbe essere il comportamento consueto della forza pubblica si trasforma in atto di eroismo e, per una banalissima quanto immediata traslazione verso il basso dei canoni di giudizio del sentire comune, gli atti di violenza commessi dalle forze dell’ordine in questi mesi in Val di Susa diventano ordinaria amministrazione, quello che in fondo ci si aspetta di fronte a manifestazioni di dissenso popolare colpevolmente dipinte come attentato alla democrazia.
Rimanendo lontani dalle semplificazioni stile ACAB e provando invece a riportare il nostro giudizio ad una valutazione più obiettiva degli eventi potremmo ringraziare entrambi i carabinieri in questione per la loro retta condotta, mettere da parte i toni ed i modi delle imprese eroiche e rimettere fortemente in discussione l’operato della forza pubblica di fronte alla questione, tuttora aperta, del progetto Alta Velocità.
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