La valle che resiste e non si arrende

marzo 18, 2012 § Lascia un commento

Riceviamo dal comitato NoTav Torino e pubblichiamo:

La Valle di Susa è per natura geografica luogo di scambio, non solo in senso trasportistico e commerciale. Lo è stata per i primi contadini del neolitico a cavallo delle Alpi, per eserciti e pellegrini lungo i sentieri dei boschi e la via Francigena; lo è tuttora e in qualche modo continuerà ad esserlo in futuro. Non si può comprendere l’originalità del movimento No Tav se non partendo dalla Storia sociale del territorio (parlo degli ultimi decenni, tranquilli)

La società civile attiva in Val di Susa

Già terra di brigate partigiane, nel dopoguerra la bassa valle industrializzata è stata significativa protagonista delle lotte per i diritti dei lavoratori, nonché del pacifismo cattolico di base attivo contro la produzione di armi e per l’obiezione di coscienza al servizio militare. All’inizio degli anni 70, con il Collettivo Operai e Studenti questo lembo del Torinese ha rappresentato un’importante esperienza di aggregazione politica dal basso nel campo della sinistra extra-parlamentare: a tutto tondo, anche con un paio dei suoi figli entrati in Prima Linea e poi per anni incarcerati.
Intanto, fin dagli anni ’60, la crisi di alcune aziende manifatturiere (Cotonificio Valle Susa) aveva già dato inizio, qui più precocemente che altrove, ad un processo di deindustrializzazione che ha generato lotte socialmente aggreganti in difesa del posto di lavoro ed al contempo ha posto drammaticamente l’interrogativo sulle prospettive future del territorio. A quel punto il destino della valle poteva reincamminarsi verso un’economia di valorizzazione delle produzioni agro-silvo-pastorali tipiche (ma a quei tempi ciò era culturalmente considerato un regresso), oppure verso la trasformazione in anonimo corridoio di transito: l’idea progettuale di attraversare la valle con un’autostrada verso la Francia era già all’ordine del giorno.
L’alta valle delle stazioni sciistiche (dove impazzava quel boom edilizio delle seconde case che porterà allo scioglimento del Comune di Bardonecchia per infiltrazione mafiosa) vede con favore la nuova infrastruttura che “l’avvicina” alle grandi città del nord Italia ed alla stessa Francia; la bassa valle sa che ne ricaverà solo inquinamento dei TIR, scempio del paesaggio ed esproprio di fertili terreni pianeggianti che scarseggiano. Nella battaglia contro l’A32 prende corpo la coscienza ambientalista, che va ad arricchire di valori i cittadini attivi, di sinistra o cattolici; anche molti sindaci si oppongono, ma alla fine la resistenza della bassa valle sarà sconfitta ed avrà il danno temuto più la beffa di compensazioni promesse e non mantenute, di ripristini ambientali mai realizzati. Il “mediatore” che convinse uno ad uno i sindaci con le sue promesse era un architetto con in tasca la tessera del PCI, un certo Mario Virano che poi diventerà amministratore delegato della Sitaf, società di gestione dell’arteria.

Il movimento NO-TAV: un parto spontaneo

Tutti gli affluenti di partecipazione che hanno percorso la società civile attiva in valle convergeranno a dare linfa all’embrione NO-TAV; la lunga lotta degli anni 80 contro l’autostrada, la sconfitta e le beffe lasciano in eredità molti insegnamenti, alla popolazione ed agli amministratori locali. Quando, nel 1989, viene lanciata l’idea di una nuova ferrovia ad alta velocità lungo il solito corridoio i primi NO-TAV sono già in piedi: tra loro molti di coloro che ancora oggi, dopo 22 anni, sono tra i protagonisti più noti del movimento.
Il Comitato Habitat è la prima forma di auto-organizzazione su questa tematica. Il suo merito è di aver saputo dare il via ad una aggregazione di cittadini, amministratori locali e tecnici di varie discipline contro i progetti dell’opera: è questa “trinità” che rappresenta il carattere originale del nascente movimento, in confronto a molti altri.
Nessuna struttura gerarchica, nessuna delega alla politica, ma trasversalità, partecipazione dal basso ed inclusione: sono questi gli ingredienti istintivamente portati ad amalgama. Massima diffusione delle conoscenze sui progetti, i rischi, i costi locali e generali: la popolazione deve essere pienamente consapevole e decidere il proprio futuro. Una specie di scuola serale, anno dopo anno, informa e forma; spiega i retroscena ed aggiorna senza mai smettere: la popolazione risponde e l’aggregazione cresce nel tempo. Non ci sono altri segreti.

Oltre i confini della valle, oltre la tematica TAV

Dopo infinite proposte di tracciato, il primo vero progetto della linea (2002-2003) descrive, esso stesso, un impatto fortissimo sulle risorse ambientali (acqua) e la salute dei viventi (amianto, uranio, polveri e gas). Il movimento costruisce i primi presidi sul territorio, punti di vigilanza e di incontro; da allora in poi saranno un’altra chiave di volta dell’aggregazione, questa volta anche di molte realtà esterne alla Valsusa.
Nel 2005 le vicende di Venaus, la prima militarizzazione dei luoghi, la notte dei manganelli, la riconquista dei terreni occupati portano il movimento NO-TAV alla ribalta nazionale. Nasce la rete del Patto di Mutuo Soccorso con tantissime realtà italiane impegnate nella difesa dei territori e dei beni comuni: un’eccezionalescambio di esperienze, di energie e di affetto. L’esperienza valsusina è vista da molti come un esempio da imitare, la dimostrazione che resistere è possibile, una speranza per tutti.
La scuola permanente di formazione si arricchisce di molte nuove materie, che diventa necessario conoscere dopo aver toccato con mano che il TAV non è solo un’infrastruttura, ma un paradigma di sviluppo neoliberista con implicazioni su più piani, dalla finanza globale all’economia locale, alla qualità di vita spicciola, alla stessa democrazia: tutti contesti già entrati in un percorso di deriva. E allora si studia e sperimenta di economie alternative, di energie rinnovabili, di democrazia partecipata e di decrescita. Dall’Italia e dall’estero nuovi docenti, intellettuali, ricercatori si avvicinano al movimento e portano il loro contributo di conoscenze ed analisi; quasi sempre rimangono affascinati e tornano ancora oggi. Si chiama sempre movimento NO-TAV, ma ormai è qualcosa di più.
Arrivano da più parti visitatori, singoli o in gruppo, che restano subito contagiati dalla natura autenticamente popolare ed inclusiva di questa originale socialità. Qualcuno viene con la pretesa di dare una sua ricetta vincente sul piano dell’organizzazione o delle forme di lotta; qualcuno vuole usare il movimento per i suoi scopi, spostarlo sul proprio terreno: nessuno viene respinto, ma qualsiasi sia la dose di carisma espresso lo si fa sentire alla pari di tutti gli altri. Molti capiscono che nessuna ricetta verrà presa in blocco, che si esige rispetto; chi è animato da disponibilità genuina allo scambio sviluppa un legame autenticamente affettivo e finisce per comportarsi, in valle, secondo le decisioni del movimento, chi è incapace di affetto e vuole imporre i propri metodi forse riesce a farlo qualche volta, ma poi se ne va.
Intanto, dal 2006 in poi, è andato in scena un finto dialogo tra le istituzioni e la Valle, alla fine aperto solo a chi è favorevole all’infrastruttura: carte truccate, confusione voluta sui costi, illusionismo mediatico. Non stupisce: il commissario governativo alla Torino-Lione, confermato dai governi di diverso colore è di nuovo Mario Virano. Il progetto cambia sì tracciato, ma le implicazioni sui vari piani non mutano granché ed i presupposti della lotta di opposizione sono gli stessi anche oggi. I sindaci (23 su 43), rappresentativi dei loro elettori, continuano con coerenza la loro battaglia di dignità, nonostante manovre politiche degne di un neo- maccartismo che tendono a metterli fuori gioco.

Dove si andrà a parare

E chi lo sa? Costruiamo insieme una prospettiva. Negli anni 2000 molto è peggiorato per il 99% della popolazione nel nostro Paese e non solo: minor giustizia sociale, nessuna prospettiva di lavoro vero, crisi del debito pubblico, scadimento culturale imposto, militarizzazione delle menti, progressiva sottrazione di diritti e democrazia… I poteri forti delle banche si sono fatti oligarchia di governo, i partiti erano già diventati esclusive macchine di potere e ora queste paiono inceppate, inservibili, da rottamare. I correttivi anticrisi a livello nazionale e continentale in realtà confermano sostanzialmente i meccanismi che l’hanno prodotta, si genera altro debito pubblico a vantaggio solo dell’immediato tornaconto privato dell’1% sempre più ricco.
In un panorama in cui vari paesi europei tra cui il nostro possono essere considerati a rischio dittatura, come profetizzare l’evoluzione della vicenda? Il merito non potrà certo prescindere dal contesto, ma è ben arduo prevedere la reciproca influenza. Tutta la casta (e le cosche) sono per realizzare comunque l’opera; quello che viene messo in campo dal potere formale è l’affidamento all’esercito della garanzia di costruzione e il movimento di opposizione dichiara di non voler cedere (e non cederà).
Questo non significa che ci sarà “un’ora x” per la resa dei conti, muro contro muro, per decidere se si fa o non si fa il TAV in val di Susa; piuttosto l’opposizione mira a durare negli anni, anche altri 20, opponendo muri di gomma, riposizionandosi ed imparando a muoversi con resilienza in spazi di democrazia ed agibilità anche progressivamente più stretti. Questo significa “la Valle resiste e non si arrende”. Poi, certo, molto dipenderà anche da come la generalità degli Italiani reagirà ad una crisi economica, morale e democratica che sulla pelle nei fatti si fa sempre più pesante, nonostante il teatrino dello spread.

Vedi anche Notavtorino.org

Bisogno di eroi, inevitabili errori

marzo 10, 2012 § Lascia un commento

Non ho mai avuto occasione di contarmi tra coloro che sbandierano la loro insofferenza verso il piccolo schermo, tra quelli che la televisione non la guardano perché è un ritornello che fa figo e non impegna, come se a non guardarla fossi automaticamente furbo e soprattutto automaticamente esente dall’ipotetico dovere di esprimere un giudizio critico.
Ultimamente però mi è capitato di guardarla davvero di rado la televisione, perdendo il contatto con un certo modo di intendere l’intrattenimento e soprattutto l’informazione. Così domenica sera, con la zuppa parentale calda nel piatto nonostante si avvicini inesorabile la primavera, ho percepito un forte senso di scollamento rispetto ai modi e soprattutto ai toni di quello che una volta costituiva la mia fonte primaria di informazioni: il telegiornale.
Il signor carabiniere in pensione di Napoli, sulla sessantina, dopo aver sentito gli spari era accorso salvando l’uomo che stava attentando alla propria vita. In congedo o in pensione che fosse, non ricordo, il carabiniere, presentato in una luminosa inquadratura a mezzo busto, aveva salvato il suicida dopo che questo aveva ucciso l’ex moglie e uno dei suoi figli di fronte agli altri tre.
Così, nonostante la domenica, mentre raccolgo la minestra vicino al bordo del piatto come mi ha insegnato mio nonno, lo schermo piatto della cucina mi da di che pensare.
Il telegiornale delle venti, che fosse raidue ha poca importanza, tradisce se stesso, tutti noi, e l’immenso bisogno di eroi che percepiamo in questo momento di completa destabilizzazione delle nostre esistenze, delle nostre coscienze.
La domenica sicuramente non offre grossi spunti per la canonica mezz’ora di telegiornale, a maggior ragione quando il goal respinto oltre la linea di porta l’hanno dato buono e non ti può aiutare nemmeno il moviolone nell’impresa di diluire pochi fatti in quei trenta ineludibili minuti. L’eroico gesto del suddetto carabiniere finisce dunque tra le prime notizie della trasmissione, in un servizio prolisso dai toni incredibilmente enfatici (ma se avesse salvato anche la donna e il ragazzo di cosa staremmo parlando?).
Non penso basti la domenica a giustificare il risalto conferito a questa vicenda, a questo personaggio che va ad aggiungersi alla lunga lista di “eroi per un giorno” di cui negli ultimi giorni ha avuto l’onore di far parte anche il carabiniere definito “pecorella” dal coetaneo NoTav che aveva di fronte.
Con il tramonto degli idoli pagani e l’avvento dei tecnici ci siamo sentiti privati di quella componente epica (ma forse solo umana) che il governo Berlusconi e l’opposizione a quest’ultimo portava con se, persi dunque alla ricerca di una nuova incarnazione delle nostre emozioni più basse, costrette dalla freddezza di Monti.
Così il quotidiano Libero si chiedeva se la pecorella non avrebbe fatto meglio a fracassare la testa del manifestante NoTav mentre l’opinione pubblica tutta ammirava la fermezza del carabiniere che non aveva reagito alle provocazioni. Così quello che dovrebbe essere il comportamento consueto della forza pubblica si trasforma in atto di eroismo e, per una banalissima quanto immediata traslazione verso il basso dei canoni di giudizio del sentire comune, gli atti di violenza commessi dalle forze dell’ordine in questi mesi in Val di Susa diventano ordinaria amministrazione, quello che in fondo ci si aspetta di fronte a manifestazioni di dissenso popolare colpevolmente dipinte come attentato alla democrazia.
Rimanendo lontani dalle semplificazioni stile ACAB e provando invece a riportare il nostro giudizio ad una valutazione più obiettiva degli eventi potremmo ringraziare entrambi i carabinieri in questione per la loro retta condotta, mettere da parte i toni ed i modi delle imprese eroiche e rimettere fortemente in discussione l’operato della forza pubblica di fronte alla questione, tuttora aperta, del progetto Alta Velocità.
Girlson Film

Santificare le feste: 8 marzo

marzo 8, 2012 § 3 commenti

Ricordati di santificare le feste. Se c’è un insegnamento biblico che la società consumistica ha fatto proprio, questo è di sicuro il terzo comandamento dell’Antico Testamento. Non c’è ricorrenza che non sia stata trasformata in una festa: qualcosa da segnare nei calendari, l’occasione per entrare nei negozi, nei ristoranti e nei cinema sostituendo “auguri” ai saluti. La festa dell’amore è la festa della cioccolata e dei fiorai; la nascita di Dio (o Babbo Natale, non ero bravo a catechismo) la festa dei bambini e dei giocattoli; la festa della donna fa la fortuna di spogliarellisti e, di nuovo, dei fortunatissimi fiorai. Che riescono anche a sbarcare il lunario quando si festeggiano i morti.
Viviamo in una società talmente felice che c’è una festa per tutto, insomma.

Ma l’8 marzo ha una storia diversa, che con la felicità dei manifesti pubblicitari giallo mimosa ha ben poco: una giornata di lotta, nata nel socialismo prerivoluzionario, dove le donne combattevano per un mondo migliore, più giusto, con più pace e diritti. Per tutti. Combattevano per salari, raprresentanza nelle fabbriche come nelle istituzioni, per il diritto ad eleggere ed essere elette. Dov’è finito l’8 marzo oggi? Perché le rivendicazioni femminili hanno lasciato il posto ai tanga argentati dei palestrati?

Se sei arrivato fin qui dandomi ragione, permettimi di dire che sei stupido. Puntualmente ogni 8 marzo mi tocca leggere analisi di questo tenore. Certo, il consumismo ha preso posto dei valori; e non ci sono più le mezze stagioni, a ricordare la vittoria del Capitale sulla natura umana ed atmosferica. Certo, la mimosa è la sublimazione dell’autodeterminazione, resa bene regalabile dall’uomo alla donna, voluta dai mercati che rispecchiano un’economia violenta, soprafattrice ed intrensicamente maschilista. E tutte quelle cose che postate sui vostri blog dai vostri mac e tablet, evidente beni rivoluzionari, avendo una mela morsicata stampata sopra, in accordo con il green marketing con cui le multinazionali vi fottonosempre.
L’8 marzo rimane, al di là di tutti i facili giudizi da intellettualoidi nostalgici del fervore dell’ottobre 1917, l’occasione in cui metà della popolazione si riappropria di se stessa. La metà che subisce violenze e discriminazioni negli ambienti di lavoro, in politica e in famiglia in tutto il mondo, tra l’altro. E a me questo già basta per ricordare le donne, lottare con le donne e festeggiare le donne.
Come ogni donna desideri vivere la sua festa è esente da ogni giudizio morale: al ristorante con le amiche, in discoteca tra cubisti ungheresi, o nei circoli arci a fumare sigari e parlando di femminismo, parlando per gli stereotipi che si leggono followandovi su twitter.
La realtà è fatta di ragazze e donne di ogni età che si riappropriano degli spazi sociali per fare quello che pare a loro, in barba agli analisti politici, agli scribacchini della rete (tra cui me stesso) e ai movimenti. Autodeterminate nella pratica dell’autodeterminazione, possono partecipare ai numerosi cortei che vengono organizzati ogni anno nelle più importanti città di Italia per proseguire poi la serata al ristorante con le amiche, servite e riverite da un cameriere cubano di un metro e ottantacinque per novanta chili di muscoli, vestito di solo papillon nero e shorts. Si tratta di diritto alla scelta anche questo. Il diritto che vogliamo difendere.

Nikolau Papa

Foto: Federica Peyronel

Il movimento NoTav, i teoremi e la politica che crede ancora in Dio

marzo 4, 2012 § 3 commenti

Questo articolo parla di NoTav e di letteratura. Della convinzione che gli “eventi-NoTav” delle ultime settimane si possano comprendere di più attraverso la letteratura. Nulla di più odioso, a prima vista: non ho vissuto i fatti in prima persona, sono in università e ho speso tutta la mattina a scrivere questo articolo. Sulla letteratura. Eppure credo ancora in lei e poiché la mia esperienza di queste settimane è avvenuta solo a distanza, vorrei comunque cercare di dare il mio contributo.

Due fatti: gli arresti emessi dalla Procura di Torino a fine gennaio in seguito agli scontri  di quest’estate; gli sgomberi iniziati in Valle l’ultimo lunedì di febbraio. Mi chiedo: esiste una connessione fra i due eventi? É verosimile che esista: ventisei militanti NoTav (fra cui alcuni leader di una certa rilevanza) vengono arrestati ed esclusi dall’azione politica. Le ordinanze sono scattate tre settimane prima degli sgomberi, tre settimane prima della resistenza e degli scontri di questi giorni. Mentre i blocchi vengono forzati dalla polizia, il movimento conta fra le sue fila ventisei militanti in meno: il disegno è lineare, fin semplice nei suoi tratti.
Perino, uno dei portavoce più influenti del movimento, non componeva ragionamenti molto diversi all’indomani delle ordinanze cautelari: “è una cosa preordinata”, comunicava ai giornali, “un segnale chiarissimo a tutti quelli che stanno cercando di alzare la testa in Italia e che prendono il movimento NoTav come esempio: vogliono dire a camionisti, pescatori, e così via di stare tranquilli altrimenti si finisce tutti in galera. Si vuole criminalizzare il movimento.” Una cosa preordinata, un disegno: qualcuno – lo Stato, i poteri forti – ha causato gli arresti per ottenere un fine determinato: indebolire il movimento. Caselli, allora, è un esecutore del disegno, o teorema giudiziario.
Tutto era stato già scritto – e non lo afferma solo Perino. I giornali autorevoli e le istituzioni hanno proposto un’analisi del passato ritornante: “state attenti”, dicono, “che nel movimento si sta infiltrando l’antagonismo e vi ricordate cosa significa, vi ricordate gli anni Settanta? Il piombo, il piombo!” Il presente si legge come una scrittura del passato, un disegno finalistico dove tutto si tiene. E anche le scritte sui muri di Via Po è come se fossero già scritte: il linguaggio non sembra cambiare di molto dalle parole di un tempo. É allora perfettamente verosimile che lo Stato abbia applicato il suo teorema (il teorema giudiziario) e che lo abbia applicato perché il movimento è ormai pronto ad avviare il suo Settantasette. Tutti scrivono – sui giornali, sui muri – e le loro scritture sono in fondo lineari, credibili. Preordinate, direbbe Perino.
Il teorema – come ogni teoria del complotto – mi ricorda la Provvidenza di Manzoni, il Disegno di Dio. (Ecco la letteratura che avevo annunciato.) Tutto è scritto nelle stelle, tutto segue il suo corso. Tutto è perfettamente verosimile e comprensibile perché è stato già scritto. Il Grande Vecchio si sostituisce a Dio, ma da un punto di vista narrativo le carte in tavola non cambiano di molto: i paradigmi di interpretazione della politica e del giornalismo sono manzoniani e provvidenziali – e c’era da aspettarselo alla luce della cultura letteraria insegnata a scuola e dal nostro intrinseco cattolicesimo.
Ma Manzoni è morto, e dopo lui altri son venuti. La letteratura è cambiata e ha pensato e scritto diversamente: senza Provvidenza e senza fatti preordinati. Propongo di trascinare quest’altra letteratura nel contesto attuale  – i nostri “eventi-NoTav” – con la speranza di dischiudere riflessioni e interpretazioni più convincenti dell’esistente, e più rivoluzionarie.
Dopo Manzoni, i fatti non stanno più insieme e il mondo è un’accozzaglia i cui eventi sono spesso privi di spiegazione. Viene a mancare il grande paradigma che teneva assieme il senso del mondo: Dio – o il complotto. I fatti non si connettono armoniosamente uno all’altro, ma si disperdono, ed è estremamente faticoso recuperare dei fili sottili nel guazzabuglio. La realtà si riduce a una serie di eventi discontinui, una complessità di cause il cui motore è spesso aleatorio.
Ribalto allora quanto affermato finora dai protagonisti di queste settimane. Caselli non ha agito secondo un teorema, come vorrebbe Perino. Il movimento non è una riproposizione degli anni di piombo, come desidererebbero certi giornalisti e tutori dell’ordine. Non esiste una connessione diretta e lineare fra gli arresti di Caselli e la repressione di questi giorni durante gli sgomberi valligiani. Poste queste prime ipotesi sperimentali, si possono tentare le prime congetture, le prime riflessioni.
La Procura di Torino ha ricevuto gli incartamenti dalla polizia e ha lavorato seguendo un normale iter legale, senza infrangere in modo evidente lo stato di diritto democratico. Questa riflessione ne può aprire un’altra: cosa si intende per legalità? Un insieme di scritture determinate da un codice? O un insieme di regole che di volta in volta si incarnano nella contingenza, nei corpi che si muovono e agiscono negli spazi? E, ancora, che rapporto c’è fra la legalità e l’azione politica di movimento? Come si deve porre il movimento nei confronti delle leggi? Credo siano domande molto più interessanti, che non potrebbero essere poste se si definisse l’azione di Caselli uno strumento in mano a uno stato repressivo, quindi intrinsecamente fascista. L’attuale contesto è molto più intricato e solo i Wu Ming possono ancora credere che il mondo si divida linearmente fra buoni e cattivi (loro sì, sono manzoniani, ma forse non lo sanno).
Anche in questo anfratto del pensiero, la letteratura, in quanto scrittura agita, può tornare utile. Non riconoscere le leggi come una scrittura assoluta e preordinata, ma come un complesso di regole da porre sempre in discussione, da modificare e da riscrivere creativamente potrebbe essere una via interessante per un movimento che voglia interrogarsi sul rapporto fra azione politica e diritto. In fondo sono riflessioni non del tutto mie, e traggono spunto da un’altra scrittura originata nell’area del pensiero antagonista – una scrittura molto più interessante delle scritture stantie sui muri di Via Po. (Qui il link).
Questo filo di pensieri nato da Caselli e confluito nel dibattito su violenza, legge e giustizia può essere uno dei tanti percorsi in cui insinuarsi nel momento in cui venga disconnesso il Disegno. Un altro territorio interessante potrebbe essere quello del movimento NoTav stesso: senza il paradigma-anni-Settanta, come si può comprendere quanto sta accadendo in valle? La Stampa e La Repubblica avrebbero i loro problemi di scrittura e di interpretazione.
Vorrei che si torcesse il collo alla retorica e ci si liberasse delle frasi fatte e delle letture preconfezionate (“Manganelli lo aveva detto – lo aveva scritto – che ci sarebbe scappato il morto!”). Vorrei vedere la fine di uno spettacolo in cui a una lettura stupida – Manganelli su tutti – si risponda con altrettante interpretazioni stupide. La fine delle sceneggiature verosimili, che, gira e rigira, finiscono costantemente per avvantaggiare chi esiste già e mai chi non esiste ancora, o chi potrebbe esistere.
I fatti spesso non si legano mai bene assieme e, se qualche volta si incontrano, dietro di loro si nasconde un’infinità di cause complessa e variegata. E poi ci sono i fatti apparentemente insignificanti, inutili e casuali che possono dischiudere deboli connessioni di senso, ma impreviste: la vita di un ragazzo in carcere, i movimenti della polizia fra le due e le tre del pomeriggio, gli sguardi di un valligiano rivolti al suolo e le pause nei monologhi di un anarchico (ma era anarchico?) che catechizza uno sbirro.
Fatterelli assurdi, lo so. Ma è inevitabile che sia così: non posso ora cogliere il pulviscolo di fatterelli da cui avviare altre riflessioni, meno assurde. Io sono qui, in università, leggo le notizie dell’ultim’ora e sullo schermo del computer mi arrivano solo le sceneggiature – e i disegni della Provvidenza.

François Milieu

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